Nuovo anno o anno nuovo?

/ 09.01.2023
di Lina Bertola

Entrati nel duemilaventitré dovremo imparare in fretta ad aggiungere un’unità alla conta del tempo. L’inizio dell’anno ci chiede di prestare rinnovata attenzione al numero con cui diamo un nome ai giorni, mentre il nuovo conteggio del tempo per tutti noi significherà anche la consapevolezza, non sempre piacevole, di avere un anno in più. Queste prime esperienze del nuovo si presentano come un’aggiunta, come l’aumento di una quantità. Siamo nell’orizzonte dell’avere, proprio come quando parliamo di un vestito appena acquistato, o di un nuovo libro, o di una nuova automobile. Sempre rimanendo in questo orizzonte di senso, possiamo anche iniziare un nuovo lavoro, o trovare un nuovo amico.

Queste novità che si aggiungono al calendario, al guardaroba, alla biblioteca, agli oggetti o agli affetti, esprimono le molte sfaccettature del nostro modo di abitare la vita e di raccontarla, in una forma in cui tutto può essere contato e misurato. Il nostro modo di stare al mondo, il nostro esserci, il nostro camminare nelle vicende della vita spesso concede al linguaggio dell’avere il compito di esprimerne il senso e di mostrarne il valore. Così, da pochi giorni abbiamo un nuovo anno in cui avremo nuove cose, in cui potremo visitare nuovi luoghi e in cui ci aspettiamo di vivere nuove esperienze.

Ma il nuovo anno saprà anche essere un anno nuovo? La domanda non pare inopportuna perché la parola «nuovo» è ambivalente e suggerisce anche la possibilità di sottrarsi alla misura e alla conta delle sue apparizioni. Suggerisce anche la possibilità di accoglierlo come espressione di un darsi originario e inatteso che fa risuonare in noi la percezione di un rinnovamento. Il nuovo può darsi anche come esperienza che tocca l’essere, che parla di ciò che siamo, non tanto di ciò che abbiamo.

Anche nell’idea di rinnovamento potrebbe però nascondersi una versione promozionale del linguaggio universale dell’avere, dell’aggiungere, dell’accumulare. Pensiamo, ad esempio, al continuo rinnovarsi dei prodotti dalla tecnologia. Come più volte mi è capitato di osservare, nelle continue novità tecnologiche c’è in realtà solo un potenziamento di ciò che già esiste: nulla di veramente nuovo, solo telefonini, o elettrodomestici più performanti, che non fanno che aumentare le loro prestazioni. In questo caso si resta prigionieri della prospettiva dell’avere in cui il nuovo è pura ripetizione: è ripetizione della solita realtà, ma aumentata. Il nuovo dunque come un «di più», un valore aggiunto.

Dentro queste gabbie del pensiero, nel continuo ripetersi delle novità, facciamo fatica a percepire l’altro possibile volto del nuovo; facciamo fatica a coglierne altre possibili risonanze. L’altro volto del nuovo, quello che sa parlare al nostro mondo interiore, può rendersi visibile solo quando abbandoniamo il mantra della conta e della misura e ci mettiamo invece in ascolto della voce discreta della nostra esperienza intima del vivere. In questo intimo contatto con il nostro esserci, il nuovo riesce allora a sottrarsi alla misura di ciò che si ripete nel tempo e può mostrare la sua qualità originaria, e proprio per questo mai misurabile: può diventare esperienza di trasformazione, di rinascita alla vita.

Magari non ce ne rendiamo conto, ma è spesso questo il significato che nutre le nostre parole e i nostri sentimenti quando ci scambiamo gli auguri per l’anno che verrà. Il nuovo anno diventa allora veramente nuovo. In queste atmosfere, l’inizio dell’anno, come ogni inizio, ci parla in prima persona, interpella il nostro cuore, perché, come ricorda sant’Agostino, è proprio nel sentimento di interiorità che riusciamo a percepire il senso del vivere e la possibilità di stare in un tempo sempre nuovo, sempre inaugurale.

Ogni inizio può rimettere in movimento il desiderio di rinascere alla vita: una rinascita che della vita stessa esprime il significato più intenso, il continuo camminare tra le radici terrene dei giorni e i cieli dell’eternità. Anche in queste belle parole del poeta Khalil Gibran la delicata potenza del rinascere si offre a noi come una amorevole carezza del tempo: «i fiori della primavera sono i sogni dell’inverno raccontati, al mattino, al tavolo degli angeli».

Il mio augurio è che il duemilaventitré riesca a essere davvero nuovo, e ci consenta, nel mentre attraversiamo i suoi giorni, di continuare a rinnovare l’aurora dell’anima.