Gentile signora Vegetti Finzi,
complimenti per la sua rubrica che leggo sempre volentieri. Anch’io nonna non senza problemi. Mia figlia non ha più avuto contatti con la sorella di suo marito per sette anni (non si parlavano più). Ora, dopo la morte della suocera, è cambiato tutto. Inviti e compleanni da entrambe le parti, soldi come regali (ma mai una carezza!...). Purtroppo mia figlia ora ci esclude, perché prima ci sono loro: sorella del marito e famiglia. I miei nipoti, di età fra i 14, i 12 e i 6 anni, spero che capiscano chi veramente gli vuol bene. L’amore non si compra con 100 franchi! Ci sarebbe tanto da raccontare per il male ricevuto e sopportato per amore dei nipotini. In attesa di un suo riscontro la ringrazio e porgo distinti saluti. / A.Rosetta
NB. È proprio vero che il perdono è la miglior vendetta?
Cara Rosetta,
la ringrazio per leggermi volentieri e anch’io le rispondo volentieri, anche se la situazione che descrive è piuttosto intricata e la domanda che pone non facilissima.
Va detto innanzitutto che i sentimenti umani non sono mai limpidi e puri, accanto alla luce dell’amore si stende l’ombra di passioni meno nobili quali la paura di non essere ricambiati, la gelosia, l’invidia, l’ingratitudine. Freud riteneva che solo l’amore che la madre nutre per il figlio maschio fosse privo di ambivalenze ma, in realtà, non è così. Tutti i nostri affetti sono mobili e cangianti. Proverbi, come «chi disprezza comprerà», «chi ama odia», ci segnalano da sempre le nostre contraddizioni.
Il suo problema riguarda, in particolare, i rapporti con una figlia femmina che lei vorrebbe tutta per sé, come quando era piccola e anche più tardi, finché la suocera l’ha tenuta lontana dalla famiglia di quello che continuava a considerare esclusivamente «suo figlio».
Suppongo che, come moglie e mamma, sua figlia abbia sofferto quell’ingiusta esclusione e ora accetti con entusiasmo di essere riammessa nella cerchia della famiglia del marito. Siccome i sentimenti della madre sono condivisi dai figli, anche i ragazzi trarranno un sospiro di sollievo per la fine delle ostilità.
Morta la suocera, le due cognate hanno fatto pace e ora si frequentano, a quanto pare, con reciproca soddisfazione. Questo cambiamento dovrebbe farle piacere perché l’odio indurisce i cuori e ostacola la crescita dei ragazzi che hanno invece bisogno di fluidità, di comunicazioni aperte e sincere per trovare il loro posto nel mondo.
Invece lei sta soffrendo perché, mentre prima era il vertice della famiglia e l’unica referente di sua figlia, ora si vede scavalcata dall’altra, che si rende attraente sfoggiando una vistosa generosità. Rilevando un certo eccesso in quei comportamenti, li considera come un’offesa e un’umiliazione nei suoi confronti. Tanto più che accettandoli e ricambiandoli, sua figlia si rivelerebbe ingrata rispetto a quanto ha ricevuto da lei in passato.
Ma, la prego, non esasperi la contrapposizione! Nel cerchio più ampio della famiglia, c’è posto per tutti. Il sospetto che la rivale cerchi di ottenere l’esclusività degli affetti offrendo inviti e denaro fa torto a sua figlia: non può essere così venale. L’amore non ha prezzo, non si vende né si compra. Sarà piuttosto la disponibilità e la generosità ad attrarre chi, sino a ieri, si era sentito respinto.
Invece di porsi come alternativa («o me o lei»), perché non cerca di godere del nuovo clima che si è creato? Di solito, intorno alla famiglia coniugale, coesistono quelle dei consuoceri che, pur essendo diversi, riescono ad andare d’accordo e a stabilire la giusta distanza in modo da non essere né troppo vicini né troppo lontani. Finita la «guerra fredda», caduto il «muro di Berlino», perché non riavvicinare le due realtà familiari? Non si chiuda, cara amica, nel ricordo del «male ricevuto e sopportato per amore dei nipotini». Il rancore avvelena prima di tutto chi lo prova. Per partecipare al nuovo corso che hanno preso i vostri rapporti familiari potrebbe, approfittando di qualche ricorrenza, offrire un pranzo per tutti, o proporre un incontro che mostri, anche ai ragazzi, che le cose sono cambiate, e in meglio.
Quanto alla domanda finale, non credo che il perdono sia al servizio della vendetta. Perdona davvero chi chiude il contenzioso e, guardando avanti, si dice: «quello che è stato è stato».
Come nonni, dobbiamo farci «costruttori di ponti» e «portatori di pace», per usare le parole di Papa Francesco. È quello che, silenziosamente, ci chiedono i nipoti che, in questi anni di crisi, crescono più che mai affamati di futuro.
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