Per molto tempo, il commercio si è fatto per strada. Ce lo ricordano le molte strade o piazze del mercato nelle città di tutta Europa. Ce lo ricordano anche i molti mercati settimanali che si tengono nelle piazze centrali delle nostre città. Ma anche quando il commercio dagli spazi all’aria aperta si trasferì nei negozi e, più tardi negli empori che sorsero sulle strade che portavano alle stazioni ferroviarie a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, la strada, e quindi il centro città, continuarono ad essere importanti perché sulla strada davano le vetrine dei negozi. Anche le case di distribuzione più grandi non avrebbero sviluppato i loro affari, nella prima metà del secolo ventesimo, se non si fosse diffusa l’abitudine di passeggiare in centro città per ammirare le vetrine dei negozi. È l’esposizione del prodotto che attira la clientela. Oggi quando si parla di «shopping» si intende, anche alle nostre latitudini, questo passeggiare nel centro cittadino, non sempre con intenzioni di compera precise, per ammirare le vetrine dei negozi e farsi un’idea di che cosa offrono i commercianti locali.
Dopo la seconda guerra mondiale lo «shopping» in centro aveva ricevuto una prima minaccia dalle società di vendite per corrispondenza (come, per esempio, Veillon, Ackermann, Jelmoli, ecc.) che offrivano i loro prodotti inviando gratuitamente il loro catalogo a tutte le economie domestiche. La seconda minaccia, questa volta anche maggiore della prima, si ebbe, negli ultimi tre decenni dello scorso secolo, con lo svilupparsi dei centri commerciali in periferia di agglomerato urbano. La passeggiata a piedi settimanale in centro, per vedere le vetrine dei negozi, fu sostituita dallo spostamento in automobile verso le zone commerciali della periferia urbana alle quali si poteva accedere anche più facilmente con l’automobile e nelle quali veniva offerta, su una superficie ben più grande di quella del vecchio nucleo cittadino, una gamma di prodotti e servizi molto più ampia. Ma i negozi del centro resistettero anche a questo tipo di concorrenza trasformando ovviamente le loro offerte e, molte volte, specializzandosi in prodotti rari o di lusso.
Nel corso degli ultimi due decenni ha fatto però la sua apparizione un nuovo pericolo: l’«e-commerce». La concorrenza dell’«e-commerce» è forte e si fa, di anno in anno, più intensa. I commercianti del centro sono alla ricerca di rimedi che consentano loro di opporvisi con successo. Qualche mese fa, per fare un solo esempio, i commercianti di Via Nassa a Lugano hanno dato l’incarico a degli specialisti zurighesi di studiare provvedimenti che si potrebbero prendere per frenare la decadenza della strada. Certo il caso di Via Nassa ha caratteristiche uniche, in particolare per la posizione di Lugano al confine con l’Italia che, in tempi in cui il franco non era ancora forte come lo è oggi, aveva attirato in via Nassa una clientela pregiata. Ma in buona parte non è che un ulteriore esempio della decadenza delle attività commerciali nei nuclei cittadini tradizionali, in Ticino e in Svizzera, come nel resto dell’Europa.
Non sembra che ci siano molti rimedi contro questa tendenza. Quel che è certo è che allungare l’orario di apertura e creare nuove possibilità di parcheggio non bastano per rilanciare il commercio del centro cittadino. Una strada che è seguita da molti è quella di inserire nei negozi attività di diverso tipo. La libreria-caffè, ristorante è forse l’esempio più noto. Ma ci sono moltissimi altri esempi di diversificazione dell’offerta. Di recente ho visto per esempio un negozio di fotografo che offriva sedute di massaggi. Una seconda via potrebbe essere quella di ridurre l’attività del negozio all’esposizione dei prodotti che il cliente potrebbe provare, o assaggiare, per poi ordinarli via internet. Quando la fotocopiatrice in 3D sarà diffusa non si vede perché debbano ancora esserci dei depositi di prodotti presso i negozi, al di là delle finalità espositive. Altri specialisti del commercio al minuto pensano che le attività di vendita attuali saranno in futuro sostituite da centri che offrono servizi al pubblico, dalla custodia dei bambini piccoli alla consulenza medica, dai corsi di cucina alle lezioni di yoga e, soprattutto, nuove possibilità di ristorazione. La decadenza dei commerci tradizionali potrebbe insomma essere frenata dall’apparizione di nuove attività di vendita o da nuovi servizi.