Non solo canzonette

/ 08.04.2019
di Bruno Gambarotta

Carlo Alberto, re di Sardegna fino al 1849, aveva l’abitudine di cantare quando era immerso nella vasca da bagno? La curiosità è legittima poiché a lui è dovuta la nascita nel 1832 della Società Promotrice delle Belle Arti che troverà la sua sede definitiva solo nel 1915, nei giorni in cui l’Italia entra nella Prima guerra mondiale. Ebbene quell’edificio di Torino ospita a partire dal 22 marzo e fino al 7 luglio una mostra dedicata alle canzoni italiane. Racchiusa fra l’abbraccio di Domenico Modugno sul palco del Festival di Sanremo il primo febbraio del 1958 quando vince cantando Volare, conosciuta in seguito con il titolo Nel blu dipinto di blu e l’esultanza di Paolo Rossi nella notte di Madrid, l’11 luglio del 1982 quando l’Italia diventa campione del mondo nella finale contro la Germania, ha l’ambizione di raccontare 24 anni di storia d’Italia attraverso 100 canzoni, usate come chiavi di lettura e di memoria. Sono gli anni del cosiddetto «miracolo economico italiano», con percentuali di crescita del PIL «cinesi». Nel 1947 la Candy produceva una lavabiancheria al giorno, nel 1963 una ogni 15 secondi.

Meditando su certi aspetti del nostro passato sperimentiamo un capovolgimento di prospettiva che dà le vertigini. Nel 1963 lo scienziato Giulio Natta vince il premio Nobel per le sue scoperte nel campo della plastica e la Montecatini con il suo Moplen invade le nostre case. È di questi giorni l’emanazione di direttive europee per mettere al bando piatti, bicchieri e stoviglie di una plastica che inquina fiumi e mari. Quando un corso d’acqua per l’abbondanza di pioggia esonda e poi in seguito rientra nel suo alveo, i rami degli alberi lungo le sue sponde fioriscono di sacchetti di plastica rimasti impigliati. In quegli anni tutti volevamo inurbarci, la mia famiglia si trasferì da una sonnolenta cittadina di provincia dove ci conoscevamo tutti ma dove «non succedeva mai niente», in una metropoli, andando ad abitare nell’estrema periferia dove i palazzi condominiali crescevano come funghi, per raggiungere il centro bisognava prendere due tram che quando mancava un quarto d’ora a mezzanotte smettevano di circolare. Ma Giorgio Gaber nel 1969 cantava «Com’è viva la città / com’è allegra la città / piena di strade e di negozi / e di vetrine piene di luce / con tanta gente che lavora / con tanta gente che produce».

D’estate, nei fine settimana, chi poteva andava al mare, anche a costo di sorbirsi lunghe code. Lo struggimento di chi restava in città è ben rappresentato da Azzurro, cantata da Adriano Celentano nel 1968: «Sembra, quand’ero all’oratorio con tanto sole, tanti anni fa / quelle domeniche da solo in un cortile a passeggiar». La Rai era ancora monopolista ed esercitava un’attenta censura sui testi delle canzoni, talvolta con esiti paradossali. Nel 1967 Francesco Guccini realizza Dio è morto e il direttore della Rai Ettore Bernabei ritiene sufficiente il titolo per proibirne la messa in onda. Senonché Radio Vaticana che fa lo sforzo di leggere anche i versi che dicono che Dio dopo tre giorni è risorto, la trasmette, costringendo la Rai a compiere un’imbarazzante retromarcia. Anche qui i parametri di giudizio non stavano fermi ma, sia pure con grande fatica e progressivi strappi, evolvevano, tal che Edoardo Bennato può cantare nel 1975 Affacciati affacciati, con evidente allusione al Papa: «Affacciati, affacciati, / Benedici, guardaci! / Tanto sono quasi due millenni / che stai a guardare».

La mostra, allestita con gusto e sapienza, è organizzata per successive stanze. La penultima, intitolata la «Febbre del sabato sera», nelle intenzioni degli autori «rappresenta il gigantesco esorcismo collettivo andato in scena nell’Italia del finale degli anni ’70. Il 13 marzo la prima italiana del film di Travolta e, tre giorni dopo, il rapimento di Aldo Moro e l’assassinio di tutta la scorta. Un rituale che si ripete in tutto quel periodo, da un lato stragi e lutti e, dall’altro, la voglia di pensare ad altro, di evasione». E annotano: «Nel 1979, l’anno con il maggior numero di eventi terroristici, la Siae registra oltre 5000 “locali da ballo” con un aumento pari al 50% rispetto all’anno precedente». Se gli autori della mostra fossero vissuti durante gli anni di guerra non avrebbero trovato motivo di stupore e di scandalo nel registrare questi dati. Nel 1943 ero un bambino di sei anni, la nostra famiglia ospitava una sorella di mia madre, più giovane di dieci anni, nata nel 1921. Non era colpa sua se, quando aveva 22 anni, c’erano i bombardamenti e il coprifuoco a partire dalle 6 di sera. Il nostro appartamento era nel vecchio ghetto ma gli ebrei non c’erano più, o riparati all’estero o deportati. Anche per loro, fino al 1848, vigeva il coprifuoco, così le case erano provviste di passaggi sotterranei per spostarsi dopo il tramonto. Che ora servivano a mia zia e ai suoi amici per spostarsi di sera in vista di festicciole nelle case, dopo aver tappezzato i vetri con la carta da zucchero blu per non far trapelare la luce.