Lo confesso, sono arrivato fino alla soglia dei trent’anni senza leggere un libro giallo. Mi sembrava tempo perso, con tanti classici del Novecento ancora da scalare, tante Montagne Incantate (o Magiche, come si dice dopo la nuova traduzione del romanzo di Mann nei Meridiani). Poi mi sono rifatto, ho dovuto leggerne a vagonate, sia libri che sceneggiature. Si è trattato di una sorta di contrappasso. Una delle prove per superare l’esame per diventare programmista alla Rai consisteva nel ridurre per il piccolo schermo un classico del repertorio teatrale. Il mio lavoro sulle Baccanti di Euripide era stato molto apprezzato, di conseguenza mi hanno assegnato a una nuova struttura che doveva progettare e programmare gialli originali, cioè non desunti da precedenti opere letterarie.
Ho finito per appassionarmi al genere, fino al punto di provare a scriverne, all’inizio in coppia con qualcuno più esperto di me. Penso che la fortuna, di vendite e di ascolti, che continua a premiare il genere, sia dovuta al fatto che si tratta di un tipo di narrazione «consolatoria». Ho incontrato per la prima volta il termine, usato in connotazione negativa, negli scritti di Elio Vittorini, che lo impiegava per valorizzare la ricerca e la sperimentazione nell’ambito della narrativa. Per inciso, può darsi che la decisione di Vittorini di rimandare al mittente il manoscritto del Gattopardo, sia derivata dal considerare «consolatorio» il romanzo di Tomasi di Lampedusa.
A mio parere, il romanzo giallo, in tutte le sue articolazioni ha un effetto consolatorio, anche se il sangue scorre a fiumi e abbondano cadaveri e sevizie, perché non fa altro che rimettere il mondo in ordine, dopo che un evento criminoso l’aveva scompaginato. Al termine della narrazione non residuano tessere fuori posto, il puzzle è stato completato. Se, dopo la stesura, fossero rimasti brandelli di storia non collocati e immotivati, l’editor avrebbe chiesto di toglierli prima della pubblicazione.
Nella vita vera non è così, il disordine, i gesti dissennati, l’incoerenza dei protagonisti, non trovano una sistemazione ordinata ma, bene che vada, finiscono incasellati in quella che viene classificata «verità giudiziaria». Una serie di polizieschi da me prodotti nel corso degli anni 70 s’intitolava Qui Squadra Mobile e aveva avuto una curiosa genesi. Dal Ministero degli Affari Interni era arrivata alla Rai la proposta di realizzare un programma che illustrasse attraverso la messa in scena di indagini le qualità e i meriti della polizia italiana. Il ministero offriva la disponibilità di mezzi e di uomini per le riprese e una consulenza di prima mano. Inoltre «aprivano gli armadi» agli sceneggiatori perché potessero attingere alla documentazione di casi risolti dalla squadra mobile di Roma.
Si trattava di una ghiotta occasione da non perdere e con i due autori incaricati di scrivere le sceneggiature, Massimo Felisatti e Fabio Pittorru, abbiamo iniziato a esplorare i fascicoli, convinti che avremmo trovato storie già pronte per essere cucinate per il pubblico della Prima Rete. Non è stato così, ognuno di quei casi risolti, dopo un inizio promettente, faceva cadere le braccia per gli stupidi errori commessi dagli autori dei crimini. Ne ricordo uno fra i tanti. Una banda di rapinatori prepara per mesi l’assalto a un furgone blindato porta valori, con pedinamenti, sopralluoghi, prove, cronometraggi.
Il colpo riesce, due auto messe di traverso bloccano il furgone, gli autisti sotto la minaccia delle armi aprono la cassaforte e i banditi, preso il malloppo e immobilizzati i portavalori, fuggono usando un’auto rubata. Arrivano senza problemi in una via deserta di un altro quartiere di Roma, dove lasciano l’auto rubata per salire su quella pulita. Compiono l’operazione in modo concitato, con una brusca frenata e lasciando aperti gli sportelli dell’auto abbandonata dopo esserne discesi, quasi volessero farsi notare dall’unico passante, un pensionato che porta a spasso il cane.
Gli uomini della squadra mobile, sopraggiunti, lo interrogano: è in grado di ricordare le caratteristiche dell’auto sulle quale sono saliti i banditi? Il pensionato risponde senza esitare: si tratta di una Porsche Cayenne. La stavo studiando perché mio nipote colleziona automobiline e mi sta facendo diventare matto per trovarne una di quel modello. Al pubblico registro automobilistico di Roma risultano immatricolate 13 auto di quel tipo; 12 proprietari sono incensurati, titolare della tredicesima è un farmacista che l’ha venduta e non ha ancora perfezionato il passaggio. Trovato il nome dell’acquirente il caso è risolto. Sarà sufficiente stargli alle costole per qualche giorno, per catturare tutta la banda.
A parte la sfortuna di incappare nel pensionato, tu bandito lavori mesi per organizzare il colpo e poi usi un tipo di auto che circola in pochissimi esemplari? E tu saresti un criminale degno di finire in un telefilm? Ma mi faccia il piacere!