Il giornale arrivava a casa al mattino presto, verso le sei, il fattorino lo infilava sotto la porta. Mio padre era quello che si alzava per primo, metteva su il caffè e recuperava il quotidiano. Lo leggeva mentre faceva colazione e poi mi svegliava. A volte faceva le orecchie alle pagine con gli articoli che voleva segnalarmi. Ma non mi ha mai chiesto se poi effettivamente li avessi letti. La libertà di pensiero era un principio intoccabile. Così ho imparato a leggere il quotidiano tutti i giorni, era un rituale, un’abitudine che mi ha tramandato. La fisicità dei gesti è importante, avere un modello da seguire e al quale ispirarsi pure e non solo quando si è giovani, vale per tutta la vita. Per le giovani generazioni di oggi non so come funzioni, ci saranno altri papà come il mio ma anche tanti che leggono i giornali online o non li leggono affatto. Mentre tanti giovani non fanno altro che consultare la loro Timeline di Fb. L’importante è informarsi, non vi è dubbio, e se avviene su supporti e in modalità digitale ben venga.
Io però mi tengo stretto questo ricordo fisico e questo insegnamento che mi ha accompagnata fin qui. Anche perché il mio papà qualche giorno fa se n’è andato. Tanti di voi ci saranno già passati e sanno cosa si prova a perdere un papà. Io lo sto imparando in questi giorni e devo dire che il mio primo confronto con il sentimento e lo smarrimento della perdita l’ho avuto sui social. Naturalmente mi sono ben guardata dal postare qualsiasi cosa sull’argomento o dal dare anche solo degli indizi nei giorni precedenti. Ho sempre pensato che la mia pagina Fb dovesse ospitare post e riflessioni riguardanti la mia professione, di personale non pubblico mai niente.
In ogni caso la mattina in cui è accaduto avevo un impegno improrogabile – mio padre diceva sempre «il lavoro prima di tutto» – e tra le varie pagine web aperte avevo anche quella di Fb. Così accade che ricevo una notifica e scopro una foto di mio papà scattata 20 anni fa con tanto di tag e dedica postate da una carissima amica di famiglia. Che colpo al cuore! Dentro di me penso che non sia giusto che si pubblichino foto di mio papà, era il mio papà! Qualche minuto dopo ricevo un’altra notifica e mi accorgo che un conoscente ha scritto sulla mia Timeline per farmi le condoglianze. Non faccio in tempo a leggere il post che gli mettono cinque like e tre commenti. Lo rendo invisibile, non voglio che altri vedano e sappiano, voglio che il dolore resti privato. Per essere così avrei però dovuto modificare le mie condizioni di privacy, cosa che non ho fatto.
Poco dopo compare un’altra foto con una dedica davvero toccante da parte di un ex collega di papà che lo ringrazia per i suoi insegnamenti e per avergli aperto la strada per la sua carriera. Subito seguono altri messaggi corali di giovani collaboratori che lo stimavano per la sua competenza e in particolare per la sua correttezza, per il sereno rapporto di fiducia e di collaborazione che sapeva creare nel suo gruppo di lavoro. A quel punto, sebbene tra le lacrime, ho pensato che in fondo non c’era niente di male se altre persone volevano ricordare mio padre su Fb. Molte di loro vivono lontano, non ho il loro numero di telefono e non avrei potuto contattarle altrimenti. Sono state loro a mettersi in contatto con me e a dirmi che il mio dolore era anche il loro così come la loro gratitudine per aver percorso un pezzo di strada con mio padre.
Non è facile stare sui social quando ti sfugge il controllo, non è facile quando i post in questione non sono rose e fiori. Ma impari che può valere la pena, impari che saper gestire la tua pagina nel modo giusto è importante. Di tutti i messaggi ricevuti nessuno era banale o fuori luogo, sono arrivati tutti in poche ore da diverse parti d’Europa. Per me sono stati un arricchimento, alla fine è stato bello leggere come altri hanno vissuto e apprezzato il mio papà che ho amato tanto. Un telegramma non sortisce lo stesso effetto. E ti accorgi, ancora una volta, che i social non sono migliori o peggiori della vita reale ma la rispecchiano e ne fanno parte.