Non è «quantité négligeable»

/ 16.05.2022
di Simona Sala

La notizia è di quelle che dovrebbero perlomeno farci venire il senso di colpa. Dopo due anni di prescrizioni, limitazioni, isolamento, paura e addii, le case anziani si stavano finalmente riaprendo al mondo. Per i residenti un ritorno alla vita a lungo atteso, e cui non tutti hanno avuto la fortuna di partecipare. Chiunque frequenti una casa di riposo sa che la fine del periodo buio si è visto nelle cose piccole solo all’apparenza, come la riapertura delle sale da pranzo, che ha permesso di ritornare a mangiare insieme, la ripresa di attività di gruppo, le prime gite fuori porta, a vedere che il mondo era ancora lì. Si è riaperto insomma uno spiraglio su un’esistenza che per molti mesi aveva avuto il sapore di un’ingiusta prigionia.

Ma ecco che quasi all’indomani di queste prime timide libertà è apparso uno studio del Centro di competenza nazionale Vecchiaia senza violenza che, per quanto da alcuni forse minimizzato, denuncia un’altra forma di prigionia all’interno delle case di riposo. Come evidenza lo studio, il 37% degli abitanti delle 619 case di riposo coinvolte (area svizzero tedesca), ha già ricevuto dei neurolettici, pur non soffrendo di schizofrenia. Questi medicamenti, infatti, hanno facoltà calmanti e tranquillanti, e possono avere effetti positivi se utilizzati per periodi brevi, cosa che però a quanto pare non accade, per cui si innescano effetti collaterali devastanti come apatia, confusione e giramenti di testa. Secondo Max Giger, medico in pensione e coautore dello studio, un uso inadeguato dei neurolettici porterebbe addirittura a un aumento della mortalità.

Al quotidiano zurighese «Tages-Anzeiger» numerose assistenti di cura hanno raccontato (in forma anonima) di essere consapevoli di somministrare spesso e con facilità medicamenti che sul lungo termine possono portare a sofferenze di diverso grado, ma di esservi in qualche modo costrette. Così come hanno raccontato di essere consapevoli del fatto che un residente aggressivo o turbato si potrebbe tranquillizzare in molti modi: con una canzone, un gioco, un bagno, una passeggiata. Attività però sempre più destinate a restare lettera morta perché, come racconta ognuna delle intervistate, semplicemente, manca il tempo: i residenti sono troppi, il personale troppo poco, e allora si lavora come si riesce, ma mai come si vorrebbe.

È sempre una questione di costi, e secondo Max Giger, quando c’è la resa dei conti le persone anziane finiscono per essere quantité négligeable. Ma nessuno, dopo quanto successo durante la pandemia, vuole che siano quantité négligeable, così come non lo è il personale curante, però, affinché non sia così, l’unica via d’uscita da questa situazione passa dai finanziamenti pubblici. Residenti e personale curante devono vivere e lavorare insieme nelle migliori condizioni, e noi, che non apparteniamo né all’una né all’altra categoria, dobbiamo averne cura.