Confesso, ad attirarmi tempo fa è stato il titolo Tutto il tempo del mondo (add editore). Poi, sbirciando velocemente tra le pagine, per ben due volte, accanto a citazioni letterarie e filosofiche importanti mi è capitato di cogliere la parola cioccolata. È stato amore a prima vista. Chi mi conosce sa che nel mio caso la cioccolata non passa mai inosservata. E allora parlando di tempo, di quel tempo che in questi giorni di risalita di contagi e di misure da discutere è tornato protagonista, voglio partire dall’esempio della cioccolata.
La persona vissuta più a lungo al mondo si chiamava Jeanne Calmet e aveva 122 anni. Morta ad Arles nel 1997 pare che mangiasse un chilo di cioccolata alla settimana. Devo provarci. L’altra cosa di cui ci parla Thomas Girst, autore e manager culturale tedesco, è il piacere dei sensi quando si assapora un pezzetto di cioccolata che, attenzione, non va masticato. «La cioccolata va succhiata. Lentamente. Il sapore si deve espandere in bocca. Finché dura. Goditi ogni momento». So di cosa parla e lo spunto di riflessione è interessante. Abbiamo infatti disimparato ad assaporare lentamente i piaceri o più in generale i momenti della vita. Ad attenderli, soprattutto, facendo dell’attesa un regalo. «Tutto nella nostra società mira alla breve felicità immediata: espresso, zucchero, like su Facebook... Si tratta sempre di una soddisfazione istantanea. La soddisfazione immediata ci impedisce un benessere più profondo».
A proposito di cioccolata, ho un amico che ne va matto. Lui però è molto misurato nel consumo, vale a dire che ogni sera dalla sua tavoletta rigorosamente al latte e con le nocciole, ne spezza un quadratino esatto, non di più. Ogni sera ripete lo stesso rituale e una volta richiusa accuratemente la confezione vive nell’attesa dell’indomani e di un nuovo pezzetto. Oggi, secondo Girst, per la maggioranza delle persone il piacere si realizza facendo l’esatto contrario dunque riempiendosi la bocca per un unico momento purché questo dia l’illusione di poter avere sempre tutto. Tutto e subito, ovvio, grazie a internet. Ma di questo abbiamo parlato ampiamente in molte occasioni.
Trovo invece interessante ciò che Girst mette in luce del nostro rapporto con la morte. «Who wants to live forever?» cantava Freddy Mercury nel 1986 e oggi che nessuno vuole invecchiare, figuriamoci morire, risuona come una domanda retorica. Anzi, la morte deve morire, acclamano i cosiddetti imprenditori della longevità, quelli, ad esempio, della California Life Company finanziata con un miliardo di dollari da Google, mentre Mark Zuckerberg ha investito seicento milioni di dollari nel suo centro di ricerca sulla cellula. Non sono da meno Jeff Bezos e l’investitore in hedge fund Peter Thiel con la loro startup Unity Biotechnology. Anzi, secondo Thiel «il grande compito del mondo moderno è fare della morte un problema risolvibile». Compito rimandato, evidentemente, al dopo Covid. Il libro parla di molte cose e ve lo consiglio nei weekend a venire un po’ più freddi e solitari perché può aiutarvi a ritrovare il focus e a non perdere la speranza mentre, se avete fortuna, dalla finestra della vostra sala potete ammirare le foglie rosse degli alberi. Girst stesso lo dice «se devo essere onesto, con questo libro ho cercato prima di tutto un aiuto per me stesso. Un aiuto in un mondo in cui il brutto, a quanto pare, si sta diffondendo sempre più rapidamente e il bello sembra aver bisogno di protezione. Un aiuto in un’epoca in cui, spesso, mi tormenta il timore che un giorno i miei figli se la passeranno peggio della generazione che li ha preceduti e che, nella maggior parte dei casi, ha beneficiato di straordinari privilegi». E alla domanda se l’essere umano è ancora in grado di creare qualcosa di meraviglioso risponde con esempi del passato, ad esempio con la storia del portalettere Ferdinand Cheval che lungo le rive del Galaure, nella cittadina francese di Hauterives, con pietre, conchiglie e ciottoli costruì il gigantesco Palais Idéal. Oppure Proust e la sua Recherche. «Quel che bisogna sapere è che non si legge Proust e basta, ma si vive con lui. Con il rallentamento che si accompagna alla lettura, con la concentrazione che il libro esige, con il tempo che richiede, il mondo di Proust guadagna fascino».
Per leggere Proust bisogna accordare la propria anima come si fa con uno strumento, annotò lo scrittore Jochen Schmidt. Anche rileggere Proust può essere un’idea, nel caso, non dimenticate la cioccolata.