Il tema dell’Autorità, della sua legittimazione e delle relative sanzioni in caso di violazione dei diritti della suddetta – la cosiddetta Lesa Maestà – costituisce uno dei temi dell’antropologia classica. Nei regimi che si intendono democratici si tende almeno in tempo ordinario a supporre che in sostanza la gestione del potere si basi sul consenso di chi il potere l’ha dato in appalto col patto sociale e che poi gli tocca subire – bene o meno che gli stia. Comodo, essenziale e sbrigativo, specie nelle democrazie elettive cosiddette occidentali dove anche chi inventò la Marsigliese ha di recente preferito in larga misura percentuale andare a far shopping invece che esercitare il Sovrano Diritto al voto che se non altro legittima quel «piove, governo ladro» di chi, almeno, quel governo non ha votato. «Tanto non cambia nulla» – e speriamo che sia così. Meno in salita, invece, il percorso di chi ritiene che l’Autorità, la Sovranità, il Potere abbiano come fonte ultima di legittimazione la stessa divinità. Un’idea forte, radicata, strutturata e strutturante fin da quando l’ineguaglianza sociale (necessaria? Inevitabile? Fondata biologicamente?) non ha fatto preferire la fiction narrativa degli Antenati prima, poi dei Capi quindi dei Re Imperatori – tutti più o meno con un piede se non due nell’Aldilà per farci rigare dritto – all’idea di una guerra di tutti contro tutti secondo la lezione, cinica forse ma efficace, di Hobbes. Certo non piaceva al confederato Jean-Jacques che, se la cultura elevava la Regalità al Divino preferiva un Uomo di Natura semplice, sobrio ed egalitario. «La Democrazia è un pessimo metodo di governo – rifletteva il marpionissimo Churchill – il problema è che tutti gli altri sono peggiori».
Vallo a dire a quella che – secondo non pochi – è l’ultima forma di monocrazia autocratica al mondo – ovvero la Chiesa Cattolica – e qui intendo entrambe le sue forme «classiche», ovvero l’Ortodossa e la Romana. Debitrice la prima alla forma di Autorità Sovrana ereditata dalla concezione culturale dell’Impero Bizantino nelle forme orientaleggianti di una sovranità divina oggi resuscitata da nuovi Zar; forse più in linea con una cultura imperiale romana più «laica» (penso altropologicamente a Marco Aurelio, Traiano, lo stesso Cesare…) e «greca», via Paolo ed Agostino la seconda – entrambe hanno dovuto fare i conti con le crisi periodiche di una forma di esercizio del potere chiaramente fuori sincrono con il principio di una sua derivazione divina.
Il cinquantennio 1378-1417 viene ricordato come il mezzo secolo dello Scisma Occidentale. Il papato risiedeva ad Avignone dal 1309, per metà «protetto» e per l’altra metà ostaggio di Filippo il Bello (che dal Papa riuscì a ottenere fra l’altro i beni dei Cavalieri Templari che distrusse per pagarsi i debiti), ma papa Gregorio XI riuscì a tornare a Roma nel 1377. Tuttavia, la Chiesa cattolica romana si divise nel 1378 quando il Collegio cardinalizio dichiarò di aver eletto papa sia Urbano VI che Clemente VII entro sei mesi dalla morte di Gregorio XI. Dopo diversi tentativi di riconciliazione, il Consiglio di Pisa (1409) dichiarò che entrambi i rivali erano illegittimi e dichiarò eletto un terzo papa. Era il 26 giugno del 1409 quando salì alla cattedra di Pietro, per la verità un po’ azzoppata, Alessandro V. Alcuni invocarono la Divina Provvidenza, altri sospettarono il veleno (oggi pare si sia trattato di una fake news), fatto sta che morì a Bologna il 3 maggio 1410 mentre era a Bologna ospite del rivale Cardinale Baldassarre Cossa (che peraltro gli succedette come Giovanni XXIII). Per quasi un anno il soglio di Pietro fu dunque occupato da tre pretendenti. Lo scisma fu risolto quando Giovanni XXIII convocò il Concilio di Costanza (1414–1418) per farla finita. Gli andò fatta male e si sparò nei piedi da solo. Il Concilio dispose l’abdicazione sia del papa romano Gregorio XII che dell’antipapa Giovanni XXIII, scomunicò l’antipapa avignonese Benedetto XIII (dichiarati senza mezzi termini «spergiuri, traditori ed eretici») ed elesse Martino V come nuovo papa regnante da Roma.
Alessandro V oggi riposa nella chiesa di San Francesco a Bologna. Pressoché dimenticato. Al secolo Pietro Phillarges o Pietro di Candia fu il primo e l’unico Papa Romano di nazionalità greca. Passa alla storia contemporanea per aver fondato (o così si dice) il Club dei Bevitori dei Frati Minori Conventuali (Greyfriars) durante un soggiorno di studi ad Oxford. Passato attraverso molte peripezie, il Club continua a bere birra abbondante ancor oggi. Cheers!