Gentile signora Vegetti Finzi,
leggo sempre con interesse la sua rubrica e anche se il mio tema non è prettamente psicologico mi permetto di sottoporlo alla sua attenzione, perché penso che la sua rubrica venga letta da tante donne.
Io abito a Brè sopra Lugano e spesso vado a camminare nella zona. Cammin facendo mi dedico alla raccolta di rifiuti e il rifiuto più frequente sono i tanti fazzoletti di carta che suppongo siano gettati dalle tante signore che percorrono quei sentieri. Certo, il fazzoletto di carta è biodegradabile, ma dopo quanti mesi? Per uno biodegradato, ce ne sono altri 10 che sono in bella vista per tanto tempo. Vorrei sensibilizzare le donne su questo tema e la prego di modificare il mio testo come lo ritiene opportuno. Tanti le saranno riconoscenti per il suo intervento. Grazie / Luisa
Cara Luisa,
forse tutta la responsabilità dell’incuria e del degrado che lei denuncia non è da amputare solo al nostro genere. Un tempo le passeggiate in montagna erano prerogativa di pochi privilegiati. La maggior parte degli adulti in montagna ci lavorava e i sentieri che percorrevano ogni giorni erano considerati un’estensione della propria abitazione per cui venivano rispettati come spazi interni della casa e del cuore. Non si stupisca se uso il termine «cuore» così carico di significati e di affetti ma, finché dalla natura dipendeva la propria sopravvivenza, l’umanità provava nei suoi confronti un senso di gratitudine filiale.
Non a caso, nell’epoca premoderna, vigeva l’espressione Madre-Terra, ora andata completamente perduta. Pensi che quando nel 600 iniziò lo sfruttamento intensivo, su scala industriale delle miniere, vi fu un vasto movimento di protesta che riteneva empio squarciare il corpo sacro della Terra Madre. Solo successivamente una concezione errata del progresso e della produzione illimitata di merci considerò la Natura un deposito di risorse da utilizzare senza scrupoli, tanto si sarebbero automaticamente rigenerate.
Ancora oggi mi rimorde la coscienza per lo scempio che provocavamo, noi bambini degli anni Cinquanta, durante le vacanze in montagna: coglievamo grandi mazzi di ciclamini con il tubero per poi lasciarli marcire, strappavamo le stelle alpine dalle rocce, devastavamo i cespugli di mirtilli, tagliavamo le scorze dei pini per farne barchette e non ho animo di proseguire. Non sapevamo quello che facevamo e nessuno ci richiamava alle nostre responsabilità. Potessi girare indietro la moviola del tempo!
Ma non resta che guardare avanti e, imparando dall’esperienza, non ripetere gli errori di un tempo. Spero non sia troppo tardi per cambiare rotta e ascoltare gli scienziati che dimostrano, non solo con dati statistici ma con immagini impressionanti, che non c’è tempo da perdere. Non abbiamo un altro pianeta e questo è sempre più fragile e malato. Molto si può fare lavorando con i bambini. La loro sensibilità per i temi ecologici è straordinaria. Sarà perché i lori sensi colgono tutto il disagio dell’inquinamento e il loro gusto per la bellezza si offende di fronte allo spregio del paesaggio. Su di loro si può contare. Ma crescendo dovranno fare i conti con una società arretrata rispetto ai problemi da affrontare e risolvere.
Il narcisismo della nostra epoca distrae lo sguardo dal mondo per concentrarlo su di sé, sulla propria immagine. Falsi valori – come il successo, la ricchezza, l’avvenenza – racchiudono l’identità nei limiti dell’Io e del Mio, dimenticando che la Natura, non solo ci contiene, ma ci costituisce. Siamo fatti di acqua, di terra, di aria e di luce e, disprezzando la Natura, disprezziamo noi stessi. Per cambiare occorre partire proprio dai piccoli gesti, come raccogliere i rifiuti cartacei. Perciò grazie, cara Luisa, di questa segnalazione che mi auguro coinvolga la sensibilità e la responsabilità dei nostri lettori. Buone passeggiate!