L’ondata straripante del «Me Too» ha cambiato rotta. Partita, ovviamente, dagli studios hollywoodiani ha raggiunto, imprevedibilmente, l’Accademia svedese, responsabile del Nobel per la letteratura. Anche sotto il tetto di un’istituzione culturale ai vertici del prestigio mondiale, sono di casa le molestie, per usare un termine ormai inequivocabile. La faccenda, come si è letto, risale al novembre scorso, quando diciotto donne, appartenenti o vicine all’ambiente accademico, denunciarono proposte spinte di tipo sessuale da parte di un uomo, anche lui vicino allo stesso ambiente.
Secondo recenti rivelazioni, comparse sull’attendibile «Svenska Dagbladet», si tratterebbe del fotografo franco-svedese Jean-Claude Arnault, personaggio in vista nella mondanità di Stoccolma, e, non da ultimo, marito della scrittrice Katarina Frostenson. Qui sta il guaio: dal 1992, la Frostenson è membro dell’Accademia e, di conseguenza, l’indagine giudiziaria sul marito l’ha coinvolta portando alla luce scorrettezze d’ordine amministrativo e fiscale. E non sarebbe un caso isolato di malversazioni. Si deve parlare di un malcostume diffuso fra operatori culturali che, in apparenza, accettano un incarico senza compensi e, in pratica, godono di sostanziosi privilegi, quali abitazioni di lusso, viaggi all’estero, incarichi importanti.
Si giustificano, insomma, i malumori che, una volta ancora, circondano gli accademici, i loro familiari e portaborse, compromettendo l’istituzione stessa del Nobel. Ed è proprio in questo clima di sfiducia che alcuni membri hanno deciso di rinunciare alla carica. Le dimissioni, però, si scontrano con un impedimento non da poco: per statuto, la carica è a vita. Comunque, in segno di protesta, tre membri se ne sono andati. Era già successo, nel 1989, quando la scrittrice Kerstin Ekman lasciò, perché l’Accademia aveva passato sotto silenzio il caso Salman Rushdie.
Adesso, però, il gesto rischia di avere conseguenze addirittura fatali per la sopravvivenza dell’Accademia: servono almeno 12 membri per scegliere nuovi membri. Per uscire dall’impasse, la presidente Sara Danius si è rivolta al re, alto patrono dell’istituto.
Probabilmente, un rimedio si troverà, modificando gli statuti e puntando sul ringiovanimento della futura commissione, a cui spetta un compito ormai al limite del possibile, umanamente parlando. La competizione, nata nel 1901 e destinata, allora, agli scrittori dell’Europa occidentale, nell’era globale si trova ad accogliere opere provenienti dai cinque continenti. Per la giuria, le cose si complicano a ritmo vertiginoso: alle prese con un mosaico di lingue, di stili e persino di valori culturali diversi. Per non parlare, poi, della proliferazione di nuove forme d’espressione che, al di là dei generi tradizionali, producono miscele inedite: fra teatro, mimica e versi, fra chitarra e poesia, all’insegna di una ribellione persino scontata. Come avvenne, nel 1997, con l’attribuzione del Nobel a Dario Fo, da riscoprire in veste di scrittore. E, nel 2016, con Bob Dylan, narratore-menestrello, che propose un caso senza precedenti, per comportamenti provocatori. Il prossimo potrebbe essere Benigni, il cui nome figura, da anni, nella rosa dei papabili.
Sono, chiaramente, episodi limite, sintomatici degli umori di un’epoca, allergica alle istituzioni e sempre più tentata da scantonamenti nell’area «anti». Ma, in verità, la reazione «anti Nobel» ha radici lontane. Rappresenta una costante, lungo un percorso disseminato da incidenti clamorosi. A cominciare dal primo premio che, nel 1901, andò a Sully Prudhomme, mentre erano in lizza Zola, Rostand, Mistral. In seguito, furono ignorati Tolstoj, Joyce, Proust, Kafka, D’Annunzio, Mark Twain, Virginia Woolf. E le lacune continuano suscitando, ogni ottobre, polemiche intorno a un verdetto che sfida l’assurdo: stabilire, con pertinenza, il libro più bello dell’anno e del mondo.
Lapidario, Tim Parks, critico della «New York Review of Books», aveva denunciato «la stupidità del premio» e «l’idiozia di prenderlo sul serio». A sua volta, Enrico Tiozzo, docente di letteratura italiana all’Università di Göteborg, nel saggio Il Nobel svelato, parla di pressioni politiche e diplomatiche sul «premio dei premi». E pone una domanda imbarazzante: avete letto l’ultimo Nobel?