L’elezione del presidente della Repubblica in Italia è una tappa importante. E i suoi poteri non sono piccoli; soprattutto da quando i partiti non esistono quasi più. Nella Prima Repubblica tutto ruotava attorno alle segreterie, in particolare a quella della Democrazia cristiana. La poltrona più importante, più ancora di quella rotante di Palazzo Chigi e di quella più stabile del Quirinale, era la poltrona di Piazza del Gesù: il segretario della Dc era (con l’avvocato Agnelli) l’uomo più potente d’Italia. Tutto cambiò con il crollo del Muro, la fine della Prima Repubblica, e la metamorfosi di Francesco Cossiga: da presidente silente a picconatore. Oscar Luigi Scalfaro contò molto, anche perché usò sino in fondo l’arma che la Costituzione assegna al capo dello Stato: sciogliere le Camere (un potere che, ad esempio, nel Regno unito spetta al primo ministro, non alla regina). Scalfaro rifiutò le elezioni a Berlusconi, caduto nel Natale 1994, rinviandole alla primavera del 1996, quando vinse Prodi. Carlo Azeglio Ciampi fu un ottimo presidente, anche se rinunciò a dare battaglia sulla legge elettorale ribattezzata dal suo stesso autore «Porcellum». Giorgio Napolitano ebbe un ruolo maieutico nel Governo Monti, Sergio Mattarella in quello Draghi. Insomma il presidente conta, e molto. Anche per questo gli italiani sono stati molti infastiditi dallo spettacolo un po’ grottesco di settimana scorsa, dalle manovre barocche, dai riti arcaici.
E se il capo dello Stato lo eleggessero i cittadini? Sarebbe possibile anche senza trasformare l’Italia in una Repubblica presidenziale. In molti Paesi europei, dal Portogallo all’Austria, sono i cittadini a eleggere il presidente; che però in nessun Paese europeo è anche capo del Governo. Non credo che del voto popolare si debba avere paura. Mai. Consideriamo l’esempio della Francia, che è una Repubblica semipresidenziale. Questo vuol dire che il presidente eletto dal popolo è il capo dello Stato, ma non il capo del Governo. Il Governo è legato da un rapporto di fiducia all’Assemblea nazionale; se questa esprime una maggioranza ostile al presidente, ci sarà un Governo di segno diverso se non opposto a quello del presidente. È accaduto in passato, più volte. Tra il 1986 e il 1988 ci fu una coabitazione tra un presidente socialista, François Mitterrand, e un primo ministro di destra, Jacques Chirac. Tra il 1993 e il 1995 Mitterrand dovette coabitare con un altro primo ministro di destra, Edouard Balladur. Nel 1997 Chirac sciolse l’Assemblea nazionale, nella convinzione di stravincere, e invece perse le elezioni legislative, e dovette convivere per ben 5 anni con il premier socialista Lionel Jospin. I due non si sopportavano, e decisero insieme una riforma per limitare a 5 anni (da 7 che erano, come in Italia) il mandato del presidente della Repubblica. Ma ora – ci scommetto – i francesi sono alla vigilia di una nuova coabitazione. Perché a mio avviso Emmanuel Macron sarà rieletto nel prossimo aprile, ma non vincerà le elezioni legislative; e dovrà convivere con una maggioranza parlamentare, e quindi con un Governo, della destra repubblicana.
I sentieri della democrazia, insomma, sono tortuosi. Ma al suffragio universale non c’è alternativa: perché la democrazia, come diceva Winston Churchill, è il peggiore sistema di Governo, eccetto tutti gli altri. A questo punto vorrei fare una confessione ai lettori. Mi ha sempre affascinato il gabinetto di guerra britannico, il fatto che durante il secondo conflitto mondiale ci fosse nel Regno unito un Governo guidato da un conservatore come Churchill che aveva come vice un laburista, Clement Attlee. Finita la guerra, Attlee vinse le elezioni e prese il posto di Churchill, salvo poi cedergli di nuovo Downing Street dopo 6 anni. I due rivali sono ricordati entrambi nell’abbazia di Westminster; e ogni volta che vado a Londra mi piace andare a salutarli. Accanto al milite ignoto, una lapide di marmo verde, posta dalla regina Elisabetta nel settembre 1965 per il 25. anniversario della battaglia d’Inghilterra, reca l’incisione «Remember Winston Churchill», sepolto con i genitori nel cimitero della chiesa di San Martino a Bladon, Oxfordshire. Una lastra più piccola, in marmo nero indiano, protegge le ceneri dello storico capo laburista: «Clement Attlee 1883-1967, prime minister 1945-1951, for twenty years leader of the Labour Party». Senza offesa, qualcuno riesce a immaginare un segretario del Pd, o di qualsiasi altro partito italiano, sepolto a Santa Croce?
Nessuna alternativa al suffragio universale
/ 31.01.2022
di Aldo Cazzullo
di Aldo Cazzullo