Non per nulla si è imposto il termine «straniero» e per giunta in quella lingua flessibile ed appiccicosa come il pongo che è l’americano/inglese per denotare un fenomeno che, ad esclusione di alcuni isolati casi in tempi recenti, costituisce almeno per quanto riguarda la modernità e sulla scala nella quale si propone oggi, una new entry linguistica e cognitiva. Questo solo fatto lo qualifica come una sorta di nuovo ed inedito tabù linguistico, la formulazione del quale in una lingua straniera da tempo sdoganata nell’uso comune ne attutisce le connotazioni collaterali sinistre qualora formulate nel vernacolo. Nessuno infatti vuol sentire parlare di coprifuoco (il Primo Ministro cisalpino lo ribadisce ogni tre per quattro, ovvero ad ogni giro di vite che impone per arginare il contagio) perché evoca i tempi di guerra e i bombardamenti laddove il termine «quarantena» ha da tempo esaurita la sua carica di umorismo macabro e grottesco in quanto evocativo di peste e di untori. Ai tempi della «seconda ondata» i giochi si sono fatti pesanti e la stessa terminologia appare sempre meno in grado di attutire l’impatto psicologico di provvedimenti che – ormai lo si manifesta da più parti ed in maniera sempre più esplicita ed aggressiva – da «restrittivi» della libertà individuale sono da più parti denunciati come di questa lesivi. Ovvero autoritari, illiberali, dittatoriali. Ed è un paradosso interessante, in questo senso, notare come in tutto il mondo, come in un gioco delle parti, siano proprio le Destre un tempo più arcigne ad invocare «ordine e disciplina» ad attaccare i governi in carica invocando quello che era un caposaldo dell’ideologia liberal – occasionalmente anche delle sue realpolitik – divenuto improvvisamente portabandiera del populismo sovranista, individualista e – quando occorre – negazionista.
Una di quelle che Antigone chiamava, rinfacciandole al tiranno liberticida Creonte, le «leggi non scritte» della nostra comune umanità è la distinzione fra il diritto alla «libertà di-» ed il diritto alla «libertà da-». In questa distinzione, codificata da Kant, è iscritto il dilemma della cultura morale della Modernità nella misura in cui le due forme della libertà si trovano spesso in conflitto. È più giusto («costa meno») garantire la libertà individuale (cioè oggi di massa) alla discoteca e alle code agli skilift o è più giusto («costa meno») cercare (per quanto di meglio si possa sapere di un beffardo organismo quasi vivente del quale pare più si sappia più resti da sapere) di contenere la diffusione del contagio confinando la gente a casa dopo il lavoro? La partita si gioca qui, una volta saltate le regole del gioco alle quali – nel bene o nel male – eravamo stati allevati. Uso il termine deliberatamente.
La cultura morale dell’Occidente moderno, democratico e borghese, è una cultura basata sul principio «assolti gli obblighi di legge, minimi e minimizzati, grazie sennò delinquo, vado dove mi pare e faccio come credo di giorno, di notte, in cielo, in terra e in ogni luogo. Nella società liquida di massa, per giunta (e contro l’Etica Protestante di Max Weber, ormai obsoleta) la mia libertà finisce dove finisce quella di tutti gli altri. Dunque tutti al mare e accidenti ai limiti di velocità e anche alle code».
Nelle società preindustriali, in quelle «tradizionali» (chiamatele come vi pare) i lockdown, i coprifuoco, le quarantene e gli isolamenti erano parte integrante di una socialità tanto «illiberale» quanto – per altri versi – integrata e coesa. Durante il periodo di Carnevale a Moena, località fra le più gettonate del circo sciistico delle Dolomiti (il famoso Sellaronda) era proibito alle maschere di aggirarsi per il paese dopo l’Ave Maria del Fuoco nei Venerdì del Carnevale. Le campane suonavano tutto l’anno attorno alle sei del pomeriggio ed imponevano l’estinzione dei fuochi domestici a prevenzione degli incendi – con le conseguenze che possiamo immaginare per discoteche e nightclub. Bene: chi osasse avventurarsi all’esterno dopo quell’ora nel Venerdì di Carnevale era soggetto ad attacchi e sonore bastonate. E guai a lamentarsi.
Restrizioni della serie si possono moltiplicare all’infinito. Dalla serrata delle porte d’ingresso alle città dopo il tramonto al confinamento di malati (e peccatori!) fino alla restrizione delle libertà individuali di criminali e prostitute era tutto un proliferare di lockdown, ostracismi, bandi e confinamenti. Il tutto in nome di una «socialità» che – grazie a quanto ci è costata – siamo collettivamente stati in grado di superare per il meglio. Leggere oggi le norme necessarie (e speriamo in mancanza di garanzie assicurative efficaci) a confinare CV19 come retaggio di quelle stesse forme di illiberalità equivale a tornare alla caccia agli untori. Governi Ladri?