Nell’ufficio-casa, si lavora meglio

/ 10.04.2017
di Luciana Caglio

La questione sarebbe, innanzi tutto, logistica. Se si rende più accogliente il luogo di lavoro, ufficio, laboratorio, fabbrica che sia, ricreando un ambiente di tipo familiare, dove ci si sente a proprio agio, anche l’attività professionale è facilitata. Con vantaggi, ovviamente, reciproci: per l’azienda e il dipendente. Da qui il concetto di ufficio-casa, cioè «uno spazio ibrido tra dovere, riposo e piacere», come si leggeva sul «Corriere della Sera», in occasione della Design Week, organizzata dal Politecnico di Milano e dedicata a un tema in fieri: che tocca da vicino architetti e arredatori, e non soltanto loro.

L’aggettivo «ibrido» la dice lunga. Bisogna, infatti, progettare ambienti in grado di soddisfare esigenze contrastanti, finora latenti e che, adesso emergono, almeno nelle nostre società liberali, ma devono fare i conti con una radicata tradizione: la casa contrapposta, anche simbolicamente, all’ufficio. Una separazione in blocchi, per così dire, storici che, oggi, va ripensata. Perché, a quanto pare, si sta delineando una sorta di mutazione genetica. L’impiegato-tipo era quello che stava dietro una scrivania, inamovibile, ripetitivo nei gesti, prima con la macchina da scrivere, e poi con il computer, oggi si presenta, invece, con un’altra fisionomia, vuole altri spazi, altri attrezzi, maggiore autonomia, per passare dalla sedentarietà alla mobilità, sia materiale sia mentale. Per il momento si tratta ancora di indizi, però rivelatori di tendenza. Fatto sta che, sul piano mondiale, in Giappone, in Olanda, in California, ma anche in Austria, in Svizzera, il modello dell’ufficio-casa, se evidentemente ha conquistato le simpatie di sociologi e psicologi, mobilita anche quegli imprenditori apripista, capaci di fiutare il nuovo. A loro rischio e pericolo. Anche l’ufficio-casa potrebbe rivelarsi un flop. L’opinione pubblica, come sempre, esita.

Portando il discorso sul concreto, com’è possibile trasformare un ambiente, spesso definito alienante, in luogo piacevole? Ci hanno provato gli studenti, impegnati nella ricerca del Politecnico di Milano con proposte che, appunto, riflettevano le ambiguità di una sperimentazione astratta, lontana dal mercato del lavoro. Certo, oggi più che mai, il posto di lavoro è sottoposto alle incognite reali dell’economia e della tecnologia. Ma, giustamente, all’indagine scientifica spetta uno spazio di manovra, dove l’ottimismo ha la sua parte, e forse l’illusione. E, quindi, potremmo essere alla vigilia «di un periodo di convergenza, in cui gli uffici devono ospitare più momenti della nostra esistenza», per dirla con i docenti d’architettura milanesi. 

Con il risultato che, per il momento, l’ufficio-casa rimane in balia della confusione. E lo confermano le soluzioni proposte. Eccole, in riassunto: «In generale, più colore negli ambienti di lavoro» a cui affiancare « palestre, canestri da basket negli atri, sale giochi, cucine, divani per rilassarsi, salottini per mini riunioni, nicchie dove godere privacy telefonica, piccoli palchi per esibizioni musicali e teatrali,» e guarda un po’, persino lavanderie. Senza dimenticare gli aspetti «salutisti», e quindi percorsi esterni, fra gli alberi, piantati intorno all’azienda, parchi dove installare uffici sotto gazebi, e meglio ancora, scrivanie a bordo di barche, galleggianti su canali. E, dopo queste fatiche ricreative, non poteva mancare una camera da letto, con annesso bagno con doccia, destinata a un meritato riposo.

A prima vista, questo scenario si presta a facili ironie, persino a una condanna d’ordine morale, nei confronti di una visione in cui lavoro e svago sembrano parificati, anzi il divertimento ha il sopravvento. Ma, a ben guardare, si tratta di una facciata ingannevole. Certo, e giustamente, la società del tempo libero ha riabilitato, anche sul piano etico, svaghi sportivi e culturali, e persino un certo ozio. Qui, però, in cittadelle, dove lavoro produttivo e divertimento convivono nella quotidianità, si assiste a una forma strisciante di totalitarismo: favorita dalla libertà apparente, di lavorare quando si vuole, domenica e serate comprese, sempre a contatto con colleghi e superiori, lontani da quello che era, ed è, l’alternativa all’ufficio, alla fabbrica, al negozio: il bisogno di staccare, uscire, ritrovare il rifugio della casa, insostituibile.