«Ora, se si dovesse rendere necessario che io rinunci alla mia vita per portare la giustizia oltre i limiti attuali e che io mischi il mio sangue col sangue dei miei figli e di quei milioni di persone in questo paese di schiavisti i diritti dei quali sono violati da leggi malvagie, crudeli ed ingiuste – bene, se questo dovesse essere il caso così sia».
Questo è quanto riporta il verbale d’interrogatorio di John Brown susseguente il suo arresto dopo il fallito tentativo di saccheggiare il deposito federale d’armi e munizioni di Harpers Ferry, in West Virginia. Era il 18 ottobre 1859. John Brown era arrivato in zona sotto falso nome già da luglio per preparare il colpo. Dei suoi 21 compagni – tre dei quali peraltro rimasero in retroguardia – 15 erano bianchi, tre erano neri liberi, uno era un nero liberato e l’ultimo uno schiavo fuggiasco. Determinati e pronti a tutto, Brown e i suoi erano convinti che nel Sud schiavista americano i tempi fossero maturi per una rivolta di massa degli schiavi: bastava mettere loro a disposizione armi e leadership e la vergogna dello schiavismo sarebbe presto stata cosa del passato.
Al momento dell’arresto John Brown era uno dei personaggio più in vista del movimento abolizionista. La sua persuasione era maturata in seguito all’assassinio di Elijah Parish Lovejoy, un ministro presbiteriano abolizionista da parte di sostenitori dello schiavismo il 7 novembre 1837. Di fronte ad un pubblico di testimoni, John Brown fece un voto solenne: «Di fronte a Dio e a questi testimoni io dichiaro che da oggi in poi dedicherò la mia vita all’abolizione della schiavitù». Da uomo d’azione quale era, mal sopportava il pacifismo delle organizzazioni pacifiste ufficiali: «Questi qui sono solo dei parolai. Ma quello di cui abbiamo bisogno è l’azione. L’azione!». Coerente con se stesso, era salito alla ribalta nazionale fra il 1855 ed il 1856 per una serie di azioni che lo avevano visto tener testa con pochi uomini a schiaccianti forze pro-schiavitù provenienti dagli Stati meridionali ed in particolar modo dal Missouri. La posta in palio era il Kansas, dove sacche di pionieri determinati ad impedire l’impiego di schiavi si trovavano a malpartito di contro alle forze meglio armate ed organizzate degli schiavisti.
Fra gli abolizionisti del cosiddetto Kansas Free State vi erano anche i numerosi figli di John Brown. Due di loro, John jr e Jason, furono catturati per poi divenire pedine per un lungo e complesso scambio di prigionieri fra le forze contrapposte. Ma il 30 agosto 1856 l’altro figlio di John Brown, Frederick, fu ucciso dai 300 miliziani del Missouri al comando del generale John W. Reid in uno scontro a fuoco destinato a consacrare la già notevole fama di John Brown come eroe nazionale presso l’opinione pubblica della nascente Unione. I trentotto uomini del Nostro riuscirono a tener testa a forze sette od otto volte numericamente superiori grazie a tattiche di guerriglia che le portarono a sganciarsi dagli inseguitori con una ritirata (strategica, naturalmente) rimasta leggendaria.
«…con diciannove suoi compagni di valor…»: entrare nella leggenda, allora come oggi, vuole anche dire entrare nel mirino delle autorità. Quando John Brown e i suoi 19 occuparono la polveriera dell’Unione il 17 ottobre 1859 la reazione delle milizie locali e di quel poco che la forza pubblica fu in grado di mettere in campo fu tale da costringere gli insorti a chiudersi nella sala delle macchine. All’alba del 18 ottobre questa era circondata da un’intera compagnia di marines al comando dell’allora Colonnello Robert E. Lee – lo stesso che sarebbe poi diventato (poiché la nemesi storica non perdona nessuno) generale degli eserciti sudisti di quella devastante guerra civile che John Brown profeticamente scrisse poche ore prima di salire il patibolo: «Io, John Brown, sono ora certo che i crimini di questa colpevole terra non saranno mai riscattati se non col sangue». Il suo atto finale fu di leggere la Bibbia in presenza della moglie, avendo rifiutato l’assistenza del clero poiché non si riuscì a trovare un singolo ministro che non fosse a favore della schiavitù.
Nel frattempo il pubblico americano poteva leggere, ormai obsoleta, una lettera di Victor Hugo largamente pubblicata dai giornali: «…politicamente parlando, l’assassinio di John Brown sarebbe un peccato senza remissione. Creerebbe nell’Unione una crepa che alla distanza la farebbe saltare (…). Forse salverete la vostra vergogna [nella forma della schiavitù] ma ucciderete la vostra gloria come democrazia». «…ma la sua anima vive ancor…»