Natura ribelle, natura sublime

/ 15.08.2022
di Lina Bertola

L’Europa brucia, come purtroppo accade ogni anno in questa stagione. Ma quest’anno un po’ di più. A luglio, dall’Italia alla Grecia si contavano già migliaia di evacuati. È stato calcolato che in Francia, rispetto all’anno scorso, gli incendi sono aumentati del 25%. Secondo il sistema europeo di informazione sugli incendi delle foreste (EFFIS), almeno 19 paesi si trovano in «pericolo estremo», mentre Francia, Spagna e Portogallo sono considerati paesi a rischio «molto estremo». Da tempo le immagini dei telegiornali ci mettono in contatto con la forza inquietante di una natura indomabile e con i volti pieni di paura, di lacrime e di dolore degli sfollati. Osservando il movimento delle fiamme, spesso fuori controllo, partecipiamo alla sofferenza di coloro che il fuoco sta devastando: nei luoghi, nelle cose, nell’intimo vissuto che brucia insieme alle cose che lo abitano.

Eppure questo spettacolo della natura ci attira; con la sua bellezza suscita in noi anche sentimenti di fascinazione, al punto che in molti si affrettano a immortalarlo in accurate immagini da esibire poi nei social. Questo «cliccare», lo sappiamo bene, sta diventando la forma privilegiata del nostro relazionarci al mondo: un linguaggio pervasivo in cui riconoscerne la consistenza e il senso, a volte anche il modo di abitarlo. Questi preziosi «clic» non sembrano tuttavia rispondere al gusto perverso con cui i passanti a volte immortalano entusiasti le tragedie che incontrano sul loro cammino. Questo desiderio di trattenere l’immagine del fuoco non sembra nascere da forme di insensibilità verso tragedie riconosciute e condivise. Il Wwf ha indicato che nove incendi su dieci sono causati da attività umane, il che fa di questa condivisione non tanto un’esibizione, quanto piuttosto un monito, un interrogativo urgente rivolto alle responsabilità di tutti noi. Eppure la potente fascinazione del fuoco scavalca le emozioni più tristi e anche i nostri sensi di colpa. Ci porta altrove, a incontrare tutta la forza e la bellezza del suo valore simbolico, ben radicato nella nostra cultura. Il simbolo del fuoco custodisce molte espressioni del significato della vita, non solo della vita della natura e dell’universo, ma pure di quella vita che sentiamo pulsare in noi, nel nostro mondo interiore. Attorno all’immagine del fuoco, il desiderio di comprendere la realtà si intreccia con il desiderio di ascoltare il nostro animo; accade così una cosa straordinaria, ovvero che l’universo cominci a risuonare in noi. Anche attraverso l’immagine del fuoco possiamo riconoscere alcune tracce di questo risuonare del cosmo nel nostro sentimento di interiorità.

«Tutte le cose sono uno scambio del fuoco e il fuoco è uno scambio di tutte le cose». Così, nel V secolo a. C., si esprime Eraclito che nel divenire degli opposti identifica la vera realtà, la sua essenza. Salita e discesa sono la stessa cosa, come lo sono il giorno e la notte. Di questo principio della ragione, che riesce a vedere l’unità degli opposti, il fuoco è la manifestazione sensibile: cambia continuamente forma ma sempre mantiene la sua identità. Per Eraclito il fuoco è l’elemento naturale in cui si manifesta il logos, ovvero la ragione, l’ordine e la misura che regolano tutto ciò che esiste. Comprendere il logos invita allora a prestare attenzione al nostro mondo interiore, a rivolgerci all’anima, alla ricerca di quella misura nascosta nelle sue profondità per orientare e illuminare il nostro cammino. Bello questo possibile intreccio di etica e conoscenza; bello questo abbraccio tra il cosmo e la vita morale.

Lo possiamo riconoscere anche in Kant quando osserva come i fenomeni di smisurata potenza naturale ci attraggano nella loro bellezza e suscitino in noi il sentimento del sublime. Un sentimento che ci trasporta al di là delle nostre dimensioni e ci fa percepire i nostri limiti, la nostra impotenza nei confronti della potenza illimitata della natura. Ma proprio questo sentimento inquietante permette di entrare in contatto con noi stessi e di percepire la presenza del sublime nella potenza sconfinata della legge morale. Il sentimento del sublime ci offre infatti la possibilità di riconoscere in noi la forza della legge morale, di assumere il difficile impegno del suo «devo perché devo», della sua infinita, impegnativa gratuità.

Alla fine, il bisogno di comprendere la natura ci porta sempre lì, a incontrare noi stessi; noi, sempre alle prese con l’irrinunciabile «conosci te stesso» e con il difficile richiamo di un’armonia del vivere.