Molto, ovviamente, è stato detto e scritto rievocando, a vent’anni dalla morte, Indro Montanelli, protagonista per decenni del giornalismo italiano, e persino prototipo dell’italiano, connotato da virtù e vizi, per così dire nazionali. Proprio in questa luce, rivolta anche agli aspetti umani, fu visto in Ticino, dove era un po’ di casa. Vi era arrivato, da rifugiato, durante la guerra e, in seguito, da ospite di riguardo della RSI e della TSI, e di associazioni politiche e culturali. Ma, per il grande pubblico l’incontro con Montanelli in persona, avvenne nelle serate, organizzate dalla Sezione sociale culturale Migros, diretta dall’avvocato Sergio Jacomella che si rivelò un autentico anticipatore. Chiamato a operare in un ambito nuovo, qual era negli anni 60/70 il tempo libero, riuscì a captare le esigenze e le curiosità di un pubblico composito. Puntando sulle personalità più autorevoli, originali e discusse del momento, con Montanelli propose un personaggio particolarmente vicino ai ticinesi, assidui lettori di quotidiani. Allora, nel nostro Cantone, se ne pubblicavano cinque che, bene o male, sopravvivevano. Insomma, invitando la più brillante firma della stampa italiana, il successo era assicurato.
Infatti, sin dalla prima tappa dell’itinerario di Montanelli sotto l’egida Migros, a Chiasso, ottobre ’69, l’affollata sala del Teatro tributò all’illustre ospite grandi applausi. Ma, non soltanto. Al di là dell’ammirazione per lo stile di una parlata scorrevole, che incantava, gli ascoltatori avevano percepito un eccesso di disinvoltura a rischio di superficialità e inganno. Soprattutto, aveva disturbato l’irriverenza nei confronti dei politici italiani, messi alla berlina. «I panni sporchi si lavano in casa», si sentiva commentare: e ne serbo un chiaro ricordo. Di quella serata fui testimone: come cronista per «Azione» e come tassista. Dopo la cena in un ristorante di Lugano, mi spettò, inatteso, l’incarico di portare Indro Montanelli in macchina a Chiasso. «Non guido, mi spiegò. Voglio evitare di fare danni stradali, ne faccio già abbastanza altrove».
Signore della parola scritta, Indro Montanelli si confermava signore della parola parlata, annientando il distacco fra le due forme d’espressione. La scioltezza della chiacchierata si ritrovava sulle pagine stampate. Gli ascoltatori ticinesi, sovente suoi lettori, ne subirono il fascino, trascinati da un linguaggio affidato a battute memorabili. Ciò che doveva avere ripercussioni anche sul giornalismo locale. Non mancarono, nelle nostre redazioni, gli imitatori, in qualche caso persino patetici. Star della penna non ci s’inventa, tanto più in un paese dove il mestiere d’informare è semplicemente un servizio da rendere al pubblico. E basta.
Del resto, in Ticino affiorano forme d’orgoglio regionale per le proprie glorie, associate, però, a insofferenza e sospetto, nei confronti delle star di fama mondiale. Ne sa qualcosa Mario Botta. Una sorte che, in modo diverso, spettò anche a Montanelli: popolare, applaudito e poi controverso e, infine, sottoposto a un processo d’ordine morale e ideologico. A innescare la miccia, contribuì il dibattito Montanelli-Prezzolini, la sera del 26 maggio ’74, nell’auditorio della RSI, affollatissimo. Le contestazioni arrivarono da fronti opposti: la destra, scandalizzata dalla mancanza di rispetto per il potere costituito, la sinistra che denunciava presunte simpatie fasciste dei due oratori.
E non finisce qui. Mentre Montanelli continuava il suo tour ticinese, affrontando temi di grande attualità, quale la difesa di Venezia, Renata Broggini, ricercatrice storica locarnese, raccoglieva il materiale destinato a un libro, dal titolo irremissibile: Passaggio in Svizzera: l’anno nascosto di Indro Montanelli. Fu pubblicato nel 2007, sei anni dopo la morte del giornalista. Ora quest’indagine, improntata a ricerca di verità e rancore polemico, non ha certo offuscato la figura di un personaggio senza pari, anche per le sue stesse contraddizioni: «Anarchico e conservatore», secondo il pacato giudizio di Paolo Mieli. E maestro di uno stile che gli sopravvive.
Simbolicamente, la statua che, lo commemora nel parco di via Palestro a Milano, continua a subire oltraggi e omaggi: imbrattata di vernice rossa, poi ripulita e sostituita da mazzi di fiori.
Montanelli e il Ticino
/ 09.08.2021
di Luciana Caglio
di Luciana Caglio