Misteri di coppia

/ 18.04.2022
di Bruno Gambarotta

In una poesia di Charles Bukowski la sua donna gli confessa: «Sei come una tapparella abbassata, ma è questo che mi piace di te». È una metafora stupenda, si attaglia perfettamente a molti di noi. Quante volte, nel corso di una sola giornata, tiriamo giù le tapparelle per non essere costretti a prendere atto di una realtà sgradevole, fastidiosa o anche solo scomoda! Anche senza arrivare alla vera e propria viltà dei passeggeri dell’autobus scesi di corsa alla vista del conducente aggredito a calci e pugni da una banda di minorenni, di fronte a qualcosa che ci disturba mentalmente ci allontaniamo dalla scena anche se il nostro corpo resta sul posto, muto e inerte.

Modestamente, credo di essere un virtuoso dell’assenza; sarà che esercito una specie di attrazione su di loro, ma sempre, quando sono in fila alla posta o in piedi sul tram o seduto in uno scompartimento ferroviario, c’è qualcuno che inveisce e impreca a voce alta. Mai contro una singola persona, il bersaglio è sempre una categoria o un’istituzione, vigili, tranvieri, piccioni, ciclisti, politici, immigrati. La sparata si conclude con un auspicio: «Bisognerebbe ammazzarli tutti!», seguita da una muta panoramica alla raccolta del consenso dei presenti. È il momento di abbassare la tapparella: l’obbiettivo dei miei occhi mette il fuoco all’infinito. L’invasato è diventato invisibile, può dire tutto quello che vuole tanto io sono andato via.

La poesia di Charles Bukowski richiama alla mente lo stile dei quadri di Edward Hopper, quelle coppie sedute in silenzio al tavolino di un bar, senza guardarsi. Le troviamo nei locali del centro, lontano dalle ore di punta. Cerchiamo di indovinare cosa passa per la loro testa. Pensieri pigri si snodano come un boa acciambellato dopo un lauto pasto. Lei pensa che lui, non dico dal colletto della giacca ma almeno dalle lenti degli occhiali, la forfora ogni tanto potrebbe anche togliersela. Lui riflette sul fatto che lei ordina il tè per fare la signora ma poi, quando porta la tazza alle labbra, irrigidisce il mignolo. Il più delle volte il partner non è considerato degno di attenzione. Lui pensa che a pranzo avrebbe dovuto prendere una seconda fetta di torta, prima che sparisse in frigo. Lei cerca invano di farsi venire in mente una frase sferzante da rivolgere alla vicina di pianerottolo che quando l’incontra per le scale finge di non vederla. Lui pensa al falegname con il laboratorio nel cortile che non c’è mai, con il cartello sulla porta chiusa: «Torno subito». Lei pensa che nel frigo ci sono sei albumi residuati da altrettante uova, dopo che i rossi sono serviti per fare la pasta e chissà se sull’Artusi c’è qualche ricetta per usarli. Lui pensa a una telefonata ricevuta quel mattino da un vecchio compagno delle medie, una roba di cinquant’anni fa, per dirgli che ha trovato in fondo a un cassetto la foto della classe. Ne farà una copia e gliela porterà a casa. E mandarla per telefono? No, la carta ha il suo fascino. Quel compagno non lo sentiva da anni, quella foto di sicuro sarà una scusa per chiedergli un prestito. Lei pensa che si approssima la data entro la quale bisogna consegnare al supermercato la raccolta punti per avere un regalo. Con un ultimo carrello pieno di merci inutili riuscirà a vincere la pastaiola, ovvero la pentola con lo scolapasta incorporato; a loro non serve, a causa del colesterolo alto da anni non mangiano più carboidrati, ma visto che siamo arrivati fin qui è un delitto lasciarsela scappare.

Una seconda poesia di Charles Bukowski, Dentro e fuori dal buio suggerisce la variante della coppia muta: quella uscita dal cinema che fa una sosta al caffè prima di tornare a casa. Dall’espressione del suo viso si intuisce che l’uomo è stato trascinato contro voglia a vedere il film da lei che ne aveva sentito parlare da un’amica e aveva ricevuto su WhatsApp una lunga serie di segnalazioni entusiastiche. L’argomento decisivo: «Un film che è costato tutti quei milioni non può essere brutto». A lui il film non è piaciuto per niente e vuole che su questo punto non ci siano dubbi di sorta anche se si guarda bene dall’esprimere a parole il suo giudizio.

È chiuso dentro un guscio, ha lo sguardo torvo, le spalle abbassate di chi ha appena ricevuto una botta in testa. Il silenzio cresce, diventa insostenibile. Lei è costretta ad ammettere: «Beh, (pausa), non era poi quel capolavoro che dicevano». Lui grugnisce, compiaciuto, lei tenta di salvare un brandello di dignità sussurrando: «Però qualche pezzo buono c’era».