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Mio figlio vuole studiare Filosofia

/ 26.07.2021
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Silvia, 
le scrivo per esporre le nostre ragioni, mie e di mio marito, contro le pretese di nostro figlio Massimo, di 19 anni, anche se, leggendola da anni, prevedo già la sua risposta.
Siamo una famiglia come tante altre, io insegno come maestra, mio marito, ingegnere, è dipendente del Cantone, abbiamo tre figli, tutti maschi purtroppo anche se, come lei aveva scritto tempo fa, attendiamo di vederci circondati da dolcissime nuore. Il problema riguarda il maggiore e consiste in un dubbio che è di tutti: che fare dopo la maturità? Il ragazzo è sempre stato bravo in materie letterarie e scadente in quelle scientifiche, deludendo il padre che vorrebbe vederlo ingegnere come lui. Non siamo così autoritari da imporgli quella Facoltà, ce ne sono tante altre, come Economia e Commercio, Scienza delle comunicazioni o Architettura che andrebbero altrettanto bene. Invece Massimo si ostina a volersi iscrivere a Filosofia. Lo scorso anno ha conosciuto un ragazzo, che studia a Bergamo, che si dichiara soddisfatto della sua scelta e mio figlio, debole com’è, si è fatto influenzare. Il problema però, più che gli studi sono il dopo. Che cosa se ne fa di una laurea che non dà lavoro o, anche se trova un posto d’insegnante, assicura a stento mezzi sufficienti per vivere? È uno studio avvincente, lo riconosco, ma che astrae dalla realtà, che isola dai coetanei?
La ringrazio per avermi ascoltata e cedo la parola a lei. / Daniela

Cara Daniela,
mi riferisco subito alla sua premessa: sa già come la penso. Ma perché non sia un pregiudizio, un partito preso, deve essere spiegata e motivata.

Sono sempre dalla parte dei ragazzi quando si chiedono «chi sono?», «che cosa voglio?». In gioco è la loro vita, non quella dei genitori che li hanno accompagnati fin lì ma che, a un certo punto, devono farsi da parte. Premetto che non posso valutare le vostre risorse economiche per cui rifletto come se non costituissero un problema. Massimo vuole studiare Filosofia e voi vi preoccupate che questa scelta, non professionalizzante, faccia di lui uno spostato. Ma negli ultimi anni le Facoltà di Filosofia sono molto cambiate e, oltre al classico indirizzo teorico, vi sono svariati orientamenti di Filosofia applicata all’estetica, alla morale, al diritto, alle scienze. Mentre un rapido sviluppo dell’automazione rende inutili molte funzioni esecutive, cresce il bisogno di innovazione, progettazione, creatività, capacità di pensiero critico, immaginativo, alternativo. Proprio quello che viene favorito da studi filosofici, storici, logici e relazionali. A parte questo, che potrete approfondire, vorrei sostenere Massimo, non solo con le mie competenze ma soprattutto con la mia esperienza. Mi è capitato spesso di incontrare persone profondamente infelici per aver trascurato le loro aspirazioni facendo proprie quelle della famiglia. In nome della tradizione, del prestigio, del benessere economico avevano accettato di diventare medici, avvocati, notai, farmacisti piuttosto che artisti, scrittori, giramondo. Alternative rischiose ma che, se perseguite, fanno sentire in armonia con se stessi, liberi di gestire il proprio futuro affrontando rischi, delusioni, cadute e resilienze. Questa è la vita, l’altra è solo sopravvivenza. 

Se amate il vostro ragazzo, riconoscete i suoi desideri e aiutatelo a realizzarli con senso di responsabilità. In questo modo lo sosterrete nella transizione dalla condizione di figlio a quella di genitore intesa nel senso più ampio, non solo di padre biologico, ma di padre morale, capace di farsi carico delle esigenze della società e delle persone, di mediare tra posizioni opposte e conflittuali senza pretendere di superarle con la forza.

Vedrà, cara Daniela, che lo stesso problema si proporrà con gli altri figli in modo meno ansioso perché, nel frattempo, voi genitori avrete assunto un atteggiamento più liberale, mentre il secondo e terzogenito avranno avuto più tempo e consapevolezza per affrontare la prospettiva dell’orientamento scolastico e professionale.

Concludo dedicando al giovane Massimo una bella poesia attribuita a Pablo Neruda ma in realtà scritta da Marta Medeiros.
«Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità».