Milano brillerà meno del previsto

/ 13.09.2021
di Aldo Cazzullo

La politica italiana è immersa in una campagna elettorale permanente. Mentre Mario Draghi governa, i capi partito che hanno delegato le questioni cruciali all’ex presidente della Banca centrale europea tentano di distinguersi gli uni dagli altri, nella speranza di guadagnare qualche punto nei sondaggi e di spostare qualche voto in vista delle prossime Amministrative. Ovviamente le elezioni di ottobre saranno importanti per decidere i sindaci delle grandi città, a cominciare da Milano. Ma non credo che saranno indicative per il futuro della politica italiana. Nel 1993 la sinistra vinse a Roma, Torino, Napoli, e l’anno dopo perse rovinosamente le Politiche. Anche stavolta potrebbe finire allo stesso modo. I candidati della destra – a parte Torino, che potrebbe essere espugnata per la prima volta – mi sembrano un po’ debolucci. Tuttavia non mi stupirei se all’indomani delle prossime Politiche Salvini e Meloni si ritrovassero a guidare i primi due partiti italiani. A quel punto si aprirebbe la vera partita.

La pandemia ha segnato un ritorno all’ordine, dopo la stagione del populismo (Brexit, Trump, Bolsonaro). Salvini l’ha capito ed è passato dall’euroscetticismo lepenista al sostegno a un Governo guidato da un europeista convinto come Draghi. Ma qual è il vero Salvini? E la vera Lega, è quella di Giorgetti o quella di Borghi? Quella che sta al Governo con una logica quasi democristiana di prudenza e di inclusione, o quella che vota insieme con la destra meloniana contro l’estensione dell’uso del green pass? La prospettiva per il dopo 2023 (non credo che in Italia si voterebbe già l’anno prossimo, neppure nell’ipotesi, secondo me probabile, che al Quirinale andasse davvero Draghi) è di un Governo di destra-destra, con il partito di Giorgia Meloni, o di un’alleanza più vasta ancorata al centro? A quel punto la Lega potrebbe entrare nel partito popolare europeo, come fece a suo tempo Forza Italia. Sarebbe uno sbocco naturale; anche perché ho la sensazione che la principale alleata di Salvini in Europa, Marine Le Pen, abbia esaurito la sua forza propulsiva.

Poi c’è il caso Milano. La città in questi anni è stata amministrata abbastanza bene, prima dalla destra – Formentini, Albertini, Moratti – poi dalla sinistra: prima Pisapia, poi Sala. Beppe Sala ora punta alla riconferma e dovrebbe riuscirci. La sua è una figura centrista. Era stato il city-manager della giunta di destra di Letizia Moratti. È stato l’uomo dell’Expo (era il 2005, al Governo nazionale c’era Matteo Renzi e l’Esposizione universale fu un indubbio successo, per la città e per il Paese). In questi anni Sala ha mostrato molta attenzione ai temi dell’ambiente e delle donne, senza per questo prendere posizioni troppo marcatamente di sinistra che gli avrebbero alienato gli elettori moderati. Il suo competitor, Bernardo, il «pediatra con la pistola» come è stato definito, non è certo un peso massimo della politica. Tuttavia la corsa di Sala verso la riconferma è frenata da alcune difficoltà. Non tutte le scelte ambientaliste del sindaco sono state apprezzate dai milanesi. Ad esempio la viabilità è risultata sconvolta, il fiorire delle piste ciclabili ha reso la vita più complicata gli automobilisti e pure ai pedoni. Anche attraversare la strada diventa un problema (a tutto questo si è aggiunta la piaga dei monopattini elettrici, che non è certo un’esclusiva milanese, ma che nelle viuzze e sui marciapiedi del centro storico di Milano diventa un’insidia particolarmente pericolosa).

Ma la vera questione che incombe su Milano è la pandemia, con le sue ricadute sull’economia cittadina. La metropoli dei commerci e dei servizi, dei grandi progetti immobiliari, dei trasporti e delle università è stata messa in ginocchio dal Coronavirus molto più di Roma, che campa per metà di soldi pubblici. Sala non ha azzeccato tutte le mosse. All’inizio ha sposato la logica «Milano non si ferma», prima che il Governo centrale fosse costretto a chiudere tutto. Lo smart working per l’economia milanese è un disastro, significa bar e ristoranti chiusi o a mezzo servizio, e pure appartamenti vuoti.

La vita ora sta ricominciando, con la riapertura delle scuole; ma tutti sappiamo che la ripresa rischia di essere interrotta da nuove chiusure. Sarà un autunno difficile. Tutto questo ovviamente sorvola le responsabilità di un sindaco, che ha margini di manovra limitati. Ma il timore è che la grande stagione di Milano sia alle spalle, che davanti ci siano prospettive non dico oscure ma meno brillanti di quelle che tutti sognavamo e che la città meriterebbe. E quando le cose si fanno difficili c’è sempre un prezzo da pagare per i politici e gli amministratori che hanno responsabilità di governo. C’è da scommettere, vista la centralità di Roma nel dibattito politico italiano, che nei prossimi mesi si parlerà soprattutto della corsa al Campidoglio. Ma Milano resta, come cantava Lucio Dalla, la città «vicina all’Europa». E il futuro della modernità si gioca lì.