Microsoft, Google e i diritti dei lavoratori

/ 15.04.2019
di Natascha Fioretti

Si chiama Tech Workers Coalition e, come dice la parola stessa, è una coalizione di lavoratori e operatori attivi nel settore tecnologico. Sono attivisti, persone impegnate nelle questioni civiche ed educative della Bay Area e degli Stati Uniti. Motivati da uno spirito solidale collaborano con altri movimenti esistenti in favore di questioni di giustizia sociale, diritti dei lavoratori e inclusione economica. Per far parte di questa comunità organizzata democraticamente è necessario partecipare agli incontri e lavorare ai vari progetti. Le conversazioni e gli scambi avvengono online su slack, un software ideato nel 2013 per la collaborazione aziendale da Stewart Butterfield, co-fondatore di Flickr. Si tratta di uno strumento di comunicazione all-in-one, perfetto per i cosiddetti smart worker.

La Tech Workers Coalition ha un sito web techworkerscoalition.org, ma la piattaforma migliore per capire cosa fanno è la loro pagina Facebook che tra le informazioni recita «Siamo una comunità di Tech Workers, Vogliamo rafforzare le nostre comunità locali e migliorare i nostri luoghi di lavoro». Pensavamo infatti che i super ingegneri della Silicon Valley e affini vivessero in aziende all’avanguardia e non solo da un punto di vista tecnologico ma anche da un punto di vista di organizzazione, di diritti dei lavoratori e di pari opportunità. Non è così e diversi nodi stanno venendo al pettine.

Scorrendo sulla loro pagina Fb balzano all’occhio diverse questioni cruciali. La prima riguarda il trattamento discriminatorio delle donne. Qualche giorno fa un gruppo di dipendenti della Microsoft ha incontrato il CEO Satya Nadella per discutere delle discriminazioni in atto nei confronti delle donne in carriera ma anche dei casi di molestie sessuali che nelle ultime settimane hanno reso incandescente l’aria all’interno dell’azienda. All’incontro erano presenti 150 persone e diverse tra loro, uomini e donne, erano vestite di bianco come le parlamentari al Congresso degli Stati Uniti in omaggio alle suffragette. Secondo quanto riportato dal settimanale «Wired», la miccia ha preso fuoco quando una donna in attesa da anni di una meritata promozione si è vista passare davanti il solito manager maschio di turno. Ma che il mondo della tecnologia non fosse woman friendly, purtroppo, lo sapevamo. Stupisce un po’ di più leggere sul «Guardian» cosa sta succedendo a Google. A marzo di quest’anno Google senza preavviso avrebbe bruscamente interrotto il contratto di 34 dipendenti a termine del team al lavoro su Google Assistant. Questi tagli hanno creato non pochi malumori all’interno dell’azienda perché pare vi siano evidenti disparità di trattamento tra i cosiddetti «Googlers» e i «TVC» (Temporary, Vendors, Contractors), ossia lavoratori a termine, venditori e liberi professionisti. Quello che emerge è che i TVC sono considerati dai vertici dipendenti di serie b e vengono trattati di conseguenza. Nella lettera che i 900 dipendenti regolarmente assunti hanno firmato chiedendo un migliore trattamento e maggiore rispetto per il lavoro dei colleghi c’è una frase che fa riflettere: «Per anni Google si è vantato della sua abilità di navigare con agilità attraverso il cambiamento. Il prezzo umano di questa agilità è l’incertezza finanziaria nella quale oggi vivono molti dipendenti».

Fanno altresì riflettere le rivelazioni di «Bloomberg» dello scorso anno che ci danno un’ulteriore informazione: i dipendenti TVC a Google non sono una minoranza ma, nel 2018, rappresentavano la maggioranza. Una giovane donna coinvolta nella protesta esprime la sua: «Quando dici che lavori a Google le persone credono che tu sia ricca. Non sanno che non ho neanche un’assicurazione». Questo mi porta a due conclusioni. Ben venga la Tech Worker Coalition. E stiamo attenti perché se tra aziende in crisi e aziende che fatturano milioni ogni anno, e non solo nel mondo del tech, a rimetterci sono comunque le condizioni e i diritti dei lavoratori allora: Houston, abbiamo un problema. Senza contare la questione dei freelance che numericamente sono in crescita in molti settori, sono figure professionali agili e in linea con un mercato del lavoro in profonda evoluzione, eppure da molte aziende considerati dipendenti di serie b. Ma mentalità aziendale e cultura del lavoro dovranno evolvere e sarà un passo avanti agli altri chi prima comprenderà che in un mercato sempre più mobile e volubile certe figure sono un valore aggiunto da rispettare.