Michelle-Obama o Melania-Trump?

/ 19.02.2018
di Paola Peduzzi

La politica americana è scandita dai riti, che oggi ci sembrano ancora più importanti perché, nel caos che regna alla Casa Bianca, ci ricordano che le istituzioni, nelle democrazie, sono più forti e più longeve degli stessi leader che le dirigono. I martedì di novembre in cui si vota, i caucuses in Iowa che aprono le primarie, il discorso sullo Stato dell’Unione a fine gennaio: la politica, negli Stati Uniti, ha una sua liturgia precisa. La scorsa settimana c’è stato il momento dei ritratti, quel particolare rito in cui gli ex presidenti entrano nella storia del Paese prendendo posto nella galleria nazionale dello Smithsonian Museum. Il progetto è nato negli anni Sessanta e raccoglie i ritratti degli uomini e delle donne che hanno dato un «contributo significativo» alla storia degli Stati Uniti, in particolare i presidenti, quando sono usciti dalla Casa Bianca. Nell’eredità di una presidenza c’è anche questo ritratto, che resta come simbolo di una trasformazione del Paese: con gli Obama, che hanno appena presentato i loro dipinti, il rito si è riempito di ogni significato possibile.

Eccola l’America che ha eletto il suo primo presidente nero, che si è fatto ritrarre in un mondo tutto verde, di rispetto della natura e dell’ambiente, grande battaglia obamiana e progressista. La first lady invece appare come una principessa pensosa e vigile, che è un po’ il messaggio che Michelle ha sempre voluto dare durante gli otto anni alla Casa Bianca: la guardiana dell’obamismo. Soprattutto, nella presentazione dei dipinti, gli Obama – più Barack che Michelle – hanno voluto trasmettere quel senso forte di famiglia e di comunità, quella solidità innamorata che Obama ha colorato di passione quando ha detto che nel ritratto di sua moglie l’artista ha lasciato intatta la «hotness» di Michelle. Una dichiarazione d’amore, l’ennesima, in mondovisione, una prova di forza con il presente: qui ci sono i valori dell’America, l’impegno, il post razzismo, la famiglia. Nella Casa Bianca di adesso, invece?

È fin troppo facile, in questa stagione della nostalgia, vivere il rito del ritratto con una serie ininterrotta di sospiri. Con Barack Obama è sempre stato così: con i simboli, le parole appropriate, il sorriso al momento giusto non ha mai avuto rivali. Con i Trump poi, non ne parliamo. Questa Amministrazione è il regno del caos e dei battibecchi e degli scandali. L’ultimo sembra congeniato apposta per far saltare i nervi un po’ a tutti: lo staff secretary di Trump, Rob Porter, si è dimesso dopo che è stato accusato dalle sue due ex mogli di violenza domestica. Porter smentisce la versione delle due donne, ma ha comunque deciso di lasciare il suo lavoro per non condizionare troppo la Casa Bianca. La quale però è già sufficientemente condizionata: la capa della comunicazione di Trump, Hope Hicks, ha una relazione con Porter e ha scritto, assieme al chief of staff di Trump, John Kelly, il primo atto di difesa di Porter: è «un uomo di vera integrità».

Mentre circolano le foto dell’occhio nero di una delle due ex mogli e le testimonianze dirette, fortissime, delle due che dicono: credete a quello che volete, ma una violenza subita lascia questi traumi, non ci si può sbagliare, Trump dice che chissà, questi racconti forse non sono veri, la fiducia nella Hicks e anche in Porter resta solida. Kelly, che già ha avuto qualche contraddittorio di troppo con il presidente, potrebbe cadere sotto i colpi di questo ennesimo scandalo, ma intanto l’indignazione cresce: che rapporto ha Trump con le donne e con la sua famiglia? Poco prima di questo Portergate poi si era fatta viva una escort che avrebbe ricevuto dei soldi per non parlare della sua relazione con il presidente, molti anni fa, quando la Casa Bianca non era neppure immaginabile, ma Melania era già la moglie di Trump – si racconta di una first lady invero furibonda.

Laddove gli Obama ci sbattono in faccia il loro matrimonio imperturbabile, e l’ex presidente racconta a David Letterman aneddoti di vita familiare, le figlie che crescono e le mosse «da vecchio» mentre balla, Trump offre caos sentimentali, relazioni burrascose, strappi personali ininterrotti. Non si può certo dire che per Trump la famiglia non sia importante, anzi, basti pensare al rapporto che ha con Ivanka o alla difesa perentoria del figlio Donald jr. all’interno dell’inchiesta del Russiagate, ma quel che si percepisce da fuori è una continua, incontenibile intemperanza. La storia dell’America registrerà anche questo momento, anche questo ritratto, ma chissà se riuscirà a rispondere alla domanda di fondo, quella a cui cerchiamo di rispondere dal 2016, da quando il Paese ha deciso di eleggere Trump: con chi ci si immedesima di più, negli Stati Uniti d’oggi?