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«Mia figlia ha smesso di mangiare»

/ 22.05.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Silvia,
mia figlia Lorena è stata sino a poco tempo fa una ragazza meravigliosa: buona, brava, bella, sensibile e intelligente. Dagli insegnanti (ora fa la seconda Liceo) non abbiamo ascoltato altro che lodi. Era, è vero, leggermente sovrappeso ma non ne abbiamo mai fatto un problema.

Credo che ultimamente abbia ricevuto qualche critica, forse qualche sarcasmo via Internet, fatto sta che ha reagito smettendo quasi completamente di mangiare. Un po’ di frutta è tutto quello che accetta di inghiottire. Inutile dire che il rendimento scolastico è calato drasticamente e che in classe ha qualche momento di assenza mentale. Ora è decisamente magra, il viso pallido, gli occhi circondati da profonde occhiaie. Frequenta la scuola ma ha rotto tutti i rapporti col suo gruppo di amici. Anche con noi (genitori e una figlia minore) parla pochissimo e cerca ogni pretesto per non venire a tavola. Abbiamo tentato in ogni modo di convincerla a nutrirsi senza opprimerla, colpevolizzarla o minacciarla. Ma, a questo punto, ci sentiamo impotenti. Che cosa possiamo fare? / Genitori preoccupati

Mi scuserete se, per motivi di spazio, userò subito una parola che avrei preferito evitare: anoressia, il più serio dei disturbi alimentari che, in questi anni, esprimono il disagio di vivere, soprattutto femminile. Sembra una diagnosi semplice ma in realtà si rivela sempre più complessa e problematica implicando cause epocali, ambientali, fisiche, psichiche e, soprattutto relazionali.

È vero che la moda e il costume propongono ideali di bellezza femminile eterea, incorporea e disincarnata. Ma è anche vero che lo sport, lo spettacolo, la moda stessa offrono anche modelli alternativi. Spesso le ragazze che incorrono in disturbi alimentari sono state, come Lorena, figlie perfette e allieve di successo. In questi casi sono divenute così esigenti con sé stesse da non accettare nessuna imperfezione. Preferiscono isolarsi piuttosto che guardarsi con gli occhi degli altri, non sempre benevoli. Intorno ai sedici anni, subentra poi, come non cesso di sottolineare, la logica del corteggiamento che scombussola l’ordinamento morale precedente.

Se per le bambine valevano i valori della famiglia e della scuola, che richiedono di essere obbedienti, serie e diligenti, per le adolescenti diventa decisivo essere belle, allegre, sicure di sé, amabili e desiderabili. Per alcune è un dato di fatto, per altre una difficile conquista o una rinuncia.

Va detto che negli anni successivi subentrano altre doti quali la sensibilità, la generosità, l’affidabilità, la capacità di ascoltare e di vivere insieme ma più tardi, non nell’adolescenza. A quell’età una delusione amorosa, anche se più immaginaria che reale, può costituire una ferita profonda. Poiché, come sempre, prima si interviene meglio è, vi consiglio di rivolgervi per una prima indicazione al medico di famiglia e/o allo sportello psicologico della Scuola. Nel frattempo fate bene a non concentrarvi sul cibo e sul peso e a non insistere perché Lorena mangi. Il blocco dell’appetito è un sintomo, non una causa.

Come dicevo, i motivi sono molteplici e sicuramente aggravati dal compito che l’età evolutiva pone all’adolescente. Così come, nell’infanzia, vi è stato il periodo dei «no» per sottrarsi alla dipendenza totale dalla mamma, con la pubertà subentra l’esigenza di rispondere in modo autonomo alla domanda «chi sono io?» allo scopo di sfuggire alla definizione ricevuta dagli altri e sentita ora come inappropriata. Lorena sta cercando di cancellare l’immagine, per quanto positiva, che l’aveva rinchiusa nella cornice della famiglia e della scuola, per divenire sé stessa, magari diversa da come l’avevate sognata ed educata. È anche per questo che considero particolarmente adeguate le terapie dei disturbi alimentari che si fondano sul dialogo d’ispirazione psicoanalitica, anche senza negare, ove fosse necessario, il supporto medico e farmacologico.

Spesso la domanda di cura non proviene dal soggetto sofferente ma dalla famiglia, dagli insegnanti, dagli amici, talvolta dall’anoressica stessa all’insaputa dei genitori. Non per questo la cura risulta impossibile perché il desiderio di vivere e di guarire viene sollecitato dall’accoglimento competente e sensibile dello psicoterapeuta. In questi casi risulta particolarmente favorevole la terapia di gruppo che consente all’egocentrismo dell’adolescente di sciogliersi nel «noi» del dolore condiviso.