Nella meritoria lotta per la parità di genere fra uomo e donna c’è un campo di battaglia ancora inesplorato: i monumenti che addobbano le piazze e i giardini delle nostre città. Per citare casi concreti mi riferirò alla città dove abito da tanti anni, l’unica che conosco a fondo, ma credo che il discorso valga anche per il resto d’Italia.
A Torino c’è un solo monumento dedicato a una donna. È in piedi su un basamento che porta incastonato un medaglione con il profilo di Edmondo De Amicis. Si trova in piazza Carlo Felice, nei giardini di fronte alla stazione di Porta Nuova. Mentre dell’autore di Cuore a cui è dedicato il cippo, conosciamo nome e cognome, lei è conosciuta come «la Seminatrice». È una robusta contadina: il fiero sguardo proteso in avanti, non guarda dove vanno a finire i chicchi di grano lanciati con la mano destra dopo averli pescati con la sinistra nella sacca delle sementi appesa alla spalla. Tutti gli altri piedistalli sparsi in città sono per gli uomini. È vero, in passato le donne non avevano un ruolo politico, anche se è difficile immaginare Gioberti o Mazzini che si rifanno il letto e si stirano le camicie. Cavour non si è mai fatto cuocere due uova al tegamino e l’unico che riusciamo a immaginare con un grembiule da cucina è Garibaldi.
Pazienza, il passato non si può mutare. Ma il punto dolente è un altro: le donne, se ci sono, sono collocate ai piedi degli uomini nel ruolo di Allegorie. Gli uomini hanno nome e cognome e titoli, loro no. Piazza Cavour, monumento a Carlo di Robilant «soldato, ambasciatore e ministro» e in basso, seduta, una bella signora in carne, velata. Tenendo in mano un ramo e un libro chiuso da un lucchetto, recita il ruolo della Diplomazia. Non sapremo mai il suo nome. Monumento a Carlo Alberto, nella piazza omonima: ai piedi del basamento, quattro Allegorie: l’Indipendenza (con i ceppi spezzati nella sinistra e la spada sguainata nella destra), l’Uguaglianza civile, lo Statuto e il Martirio, due che dal punto di vista grammaticale dovrebbero essere interpretate da maschi. In piazza Crimea c’è l’Allegoria del Piemonte, ai piedi dell’obelisco, fra un marinaio e un bersagliere: ha la parrucca e una sfera nella mano destra. Qualcuno è in grado di spiegarmi perché il fiero Piemonte è rappresentato da una donna? Nel 1903 fu inaugurato nella piazza Castello che con il Palazzo Madama e la Reggia è il centro focale della città, il monumento a Galileo Ferraris, il genio a cui si deve l’invenzione del motore elettrico rotante, una scoperta in grado di rivoluzionare la vita dell’umanità, alla pari del transistor e del laser, che lui non volle brevettare per metterlo a disposizione di tutti. La statua raffigura lo scienziato in atto di camminare, il capo piegato all’indietro, gli occhi socchiusi, persi in un sogno. Ai suoi piedi una figura femminile esce nuda dai veli, nelle intenzioni dello scultore dovrebbe simboleggiare l’enigma della natura, essere l’Allegoria della Verità, ma è molle, paffuta, languida.
Quel nudo, esposto agli occhi dei bambini delle scuole municipali allineati in prima fila, fece scandalo e a furore di popolo l’opera fu spostata nel 1927 in un giardino frequentato solo da chi porta a spasso i cani. La città di Torino può vantare ben tre Allegorie dell’Italia, per Daniele Manin, per Giuseppe Garibaldi e, al vertice dell’ignominia, per Cavour: il grande statista, avvolto in un lenzuolo, palpeggia una matrona discinta inginocchiata ai suoi piedi. Facesse oggi quel gesto non la passerebbe liscia, Italia o non Italia. Oggi i monumenti non li guarda più nessuno, tutti camminano con lo sguardo incollato agli schermi delle tavolette. Ma all’epoca in cui furono inaugurati, quelle signorine in carne, pettorute, con due salsicciotti come braccia, lo sguardo fiero, accucciate ai piedi dei monumenti, riuscivano a fare innamorare qualche giovanotto di buona famiglia? Immaginiamolo al termine del pranzo quando, allontanatasi la cameriera dopo aver sgomberato la tavola, il giovane prende fiato e spara: «Debbo darvi una bella notizia. Mi sono fidanzato». La madre, che già temeva che quel bietolone rimanesse scapolo: «Bene! Chi è la fortunata?». «Un’Allegoria». Dalla felicità allo sgomento: «Con tante brave ragazze del nostro ambiente, proprio di un’Allegoria ti dovevi innamorare?» Il papà è più accomodante: «Guarda che le Allegorie sono ragazze serie». La madre finge di credergli e torna al figlio: «In questa città ci sono Allegorie di tutti i generi, la Fede, l’Onestà, il Risparmio, la Politica, la Sapienza, la Musica... Cosa rappresenta quella che ti avrebbe fatto perdere la testa?». Il giovanotto con voce sognante: «È il Martirio». Il padre si tradisce: «Quella seduta ai piedi di Carlo Alberto, quella che tiene in grembo una corona di spine?» «Sì, è lei, mi ha promesso che una volta sposati la metterà via per sempre». La madre rassegnata pensa: sposa pure mio figlio, sarò io la tua corona di spine.