La mia generazione – che appartiene a un millennio ormai scomparso – veniva educata ad acquisire comportamenti corretti secondo i codici della «buona creanza». Da ragazzi scoprivamo, così, che la varietà dei luoghi comportava una corrispondente e adeguata varietà di comportamenti: quando sei in pubblico non sbadigli con la bocca spalancata, ma ti copri la bocca con la mano; a tavola stai seduto in modo composto; quando entri in chiesa ti fai il segno della croce; a scuola stai zitto e ascolti la maestra, anche se ti annoi…
Di questi codici di comportamento, mi pare, è rimasto poco o nulla. Si potrebbe pensare che, in fondo, si può benissimo fare a meno di quei rituali superflui, che in parte erano anche determinati da gerarchie sociali che oggi non esistono più: ad esempio, era regola che il giovane salutasse per primo l’anziano, l’uomo la donna, l’allievo il maestro; quest’ordine di precedenza costituiva un segno di rispetto o una sorta di devozione nei confronti dell’altro. Ma, appunto, questo nostro tempo, a furia di battersi per l’eguaglianza, ha portato al trionfo dell’egualitarismo – cioè, al rifiuto di ogni differenza. Questo percorso ha prodotto indubbi vantaggi, come la parità dei diritti fra uomo e donna; ma induce anche alla disattenzione nei confronti dell’altro e all’indifferenza verso una comunità sempre più anonima. Se, un tempo, in una carrozza ferroviaria un giovane seduto vedeva un anziano in piedi, si alzava per cedergli il posto, e così un uomo nei confronti di una donna. Le persone di una certa età si comportano ancora così, in base ai codici acquisiti nell’infanzia; ma i giovani, mi pare, non hanno più questa sensibilità verso l’altro. È la cortesia che va scomparendo nelle nuove generazioni.
Eppure i rapporti sociali si intrecciano e si rafforzano proprio grazie alla cortesia. C’è una riflessione di Alain che mi pare illuminante: «L’impazienza di una persona e il suo malumore derivano qualche volta dal fatto di essere rimasta in piedi troppo a lungo; non cercate allora di discutere il suo umore, offritele una sedia».
Recentemente è apparso in traduzione italiana un libro di Danny Wallace, un attore comico che applica l’ironia e l’umorismo anche per castigare il malcostume dilagante: il titolo del libro è La legge del cafone. È un libro divertente, ma tutt’altro che superficiale: documenta come i cafoni siano sempre più al potere, e come la volgarità e l’insulto siano sempre più ammirati (talvolta anche in politica) perché la gente scambia la maleducazione per autenticità e apprezza chi «parla chiaro». Ma, al tempo stesso, il libro rileva come l’aggressività verbale o la semplice scortesia possano incidere negativamente sull’umore e produrre uno stress che può causare gravi errori o anche disastri: un commento sgarbato influisce sul cervello, annebbia la capacità di giudizio, rende meno efficienti sul lavoro. Molti errori chirurgici, ad esempio, secondo uno studio della John Hopkins University, accadono quando il medico ha subito attacchi verbali dai parenti dei pazienti; e la stessa cosa vale per i piloti dei bus o degli aerei e, si può ipotizzare, per qualsiasi attività.
Un comportamento cortese e corretto non è dunque solo una questione di forma: gettare cartacce per strada, urlare in pubblico a squarciagola, spintonare chi passa sono comportamenti non solo fastidiosi, ma anche dannosi, perché portano a un sempre più diffuso rilassamento del costume, alla perversa convinzione che «Tutto è permesso». L’individualismo egocentrico che tende a prevalere indebolisce il senso di appartenenza alla comunità, rende fastidiosa la frequentazione degli altri, esaspera la prepotenza. Non si tratta, dunque, di recuperare la cortesia dei tempi passati, ma di coltivare l’autentico rispetto dell’altro: un rispetto del quale oggi si parla tanto, ma soprattutto perché alla morale si è sostituita la retorica. La cortesia non è un rituale superfluo, ma la condizione per vivere meglio: l’uomo non può vivere da solo perché, come diceva Aristotele, è «un animale sociale»; ma per essere tale dev’essere anche socievole.
Naturalmente, però, anche con la cortesia non bisogna esagerare, altrimenti si cade in un’affettazione che può essere la maschera di una sostanziale ipocrisia: il criterio del «giusto mezzo» è pur sempre valido, anche se risale ad Aristotele. Se, per strada, si avvicina un uomo che chiede: «Per favore, mi può dare una mano?», sarebbe esagerato rispondergli: «Quale vuole? La destra o la sinistra?».