Gentile signora Vegetti Finzi,
la ringrazio di affrontare spesso il tema della maternità e i suoi libri, in determinati periodi della mia vita, mi sono stati di grande conforto.
Sono una donna di quarant’anni, mamma a tempo pieno di tre figli. Due gemelli di nome Leonardo e Giulio di nove anni e una figlia di tre anni, Virginia. Credevo che con l’arrivo della femmina sarei stata serena, invece inaspettatamente è nato in me un nuovo fortissimo desiderio di maternità. Forse questo istinto è rifiorito per colpa di tutto quello che nel mondo succede con la pandemia e ora questa guerra così vicina. Ho sempre avuto un pessimo rapporto con la morte. Allora cosa c’è di più potente se non rispondere a essa con la vita?
Vorrei tanto avere questo quarto figlio e poi chiudere tutto. Essere finalmente libera dall’istinto, anche fisico, che non mi abbandona. Mio marito purtroppo non condivide questo mio desiderio. Dice che lui mi è venuto incontro, concedendomi la possibilità di avere anche una figlia femmina e ora tocca a me comprenderlo e assecondarlo. Ma non ci riesco, è una rinuncia enorme. Ogni mattina piango per questa vita che non potrà vedere la luce.
Certo anch’io mi preoccupo: ho paura di non riuscire a seguire bene gli altri figli o di tornare a dormire poco. E mi chiedo se non sarebbe meglio compensarmi con un cane. Farebbe più contenti i ragazzi! Ma non ci riesco! Cosa posso fare? / Maria (una grande amante della vita)
Cara Maria,
benché a molti e a molte il suo desiderio possa sembrare strano, quasi un capriccio, la comprendo per tante ragioni e passioni. Innanzitutto perché anch’io, avendo cercato per otto anni di avere un figlio, conosco la potenza della passione materna, la sua capacità di proporsi e di imporsi sopra ogni altra considerazione. Ci consideriamo persone civili, responsabili e razionali, eppure vi sono impulsi vitali difficili da addomesticare.
È vero che in Germania, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, quando gli uomini stavano partendo per il fronte, vi fu un’impennata di gravidanze e che possiamo interpretare quella reazione come un’affermazione della Vita contro la Morte, ma ora la situazione è molto diversa. Abbiamo raggiunto un grado di libertà che ci consente di scegliere consapevolmente se, quando, come e con chi generare. È stata una conquista di civiltà, ma in certi momenti ci sentiamo inadeguati a risolvere i problemi che la nostra epoca ci pone.
Lei è molto acuta nell’analizzare il dilemma in cui si trova che è, innanzitutto un conflitto interno tra conscio e inconscio: l’inconscio non conosce il tempo, è egocentrico, assoluto e assillante, per cui la ragione tende a retrocedere di fronte alla sua insistenza. Ma alla fine, nella maggior parte dei casi, è la ragione ad avere la meglio. Vediamo come.
Per prima cosa occorre umanizzare l’istinto trasformandolo in desiderio. Il desiderio è il motore della nostra vita e, se non lo riconosciamo, rischiamo che si esprima attraverso il corpo con sintomi psicosomatici. Ma lei è ben consapevole di desiderare un figlio o, forse, una gravidanza, che non è la stessa cosa. Tuttavia non è un caso se, per restare incinta, lei non si rivolge a un donatore anonimo ma, come è giusto, a suo marito, compagno di vita e padre dei suoi figli. A questo punto i protagonisti dell’impresa sareste due, cui va aggiunto il bambino che dovrebbe nascere e, perché no? quelli che sarebbero i suoi fratelli. Rispetto a queste persone, che costituiscono la sua famiglia, lei è profondamente responsabile e, se è una «persona per bene», nel senso forte dell’espressione, deve ragionare in termini di «noi», non di «io».
Tutti si nasce figli e tutti desideriamo essere stati desiderati da entrambi i genitori. Perché negare a priori questo diritto a chi, non essendo nato, non ha parola?
Poiché la soluzione del dilemma non sarà facile, le suggerisco di confidarsi con sua madre o con un’amica matura e saggia. Resto convinta, come sapete, che insieme si pensa meglio.