Marko Polo e la battaglia di Curzola

/ 07.09.2020
di Cesare Poppi

La rivalità fra Venezia e Genova si esprime oggi nel contesto della Regata Storica delle Repubbliche Marinare. A partire dal 1950, fra la fine di maggio e gli inizi di luglio, quattro equipaggi di otto vogatori agli ordini di un timoniere in rappresentanza di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia si sfidano lungo un percorso di due chilometri. L’evento è organizzato a rotazione dalle quattro città che si assumono l’onere di finanziare una manifestazione che richiama migliaia di turisti e televisioni da tutto il mondo. Sarebbe sbagliato ritenere che si tratti ormai solo di un evento folclorico «ad usum turistae», al pari del Palio di Siena. È invece un evento estremamente complesso nel quale gioca ancora un ruolo importante l’orgoglio civico di spettatori e regatanti, e questo sia detto non soltanto per quanto riguarda i rapporti intercittadini, ma anche e forse soprattutto, i rapporti interni alle singole Repubbliche che vedono le locali associazioni remiere contendersi con ogni mezzo i posti voga disponibili. Risparmio ai miei lettori i dettagli dei «negoziati» – così come sono stati soffiati all’Altropologo dalle fedeli, informatissime talpe (o forse, nella fattispecie, pantegane dei canali venexiani) – che, come al Palio di Siena, accompagnano una concezione del fair play sportivo non proprio allineata su quelle dei College di Oxford e Cambridge.

A darsele più di santa ragione nello sforzo di battere il nemico storico sono i gozzi di Venezia e Genova. La Serenissima, guarda caso, guida la classifica con 34 vittorie, seguita da Amalfi con 12. Terza è la Superba con 9 seguita da Pisa con 8. Ma gli occhi di tutti sono puntati sugli scafi verde di Venezia e bianco di Genova, non fosse per il fatto che le due potenze marittime erano dirette concorrenti ed acerrime nemiche per la supremazia commerciale nel Mediterraneo per secoli – e specialmente fra il XIII ed il XIV. Amalfi aveva raggiunto l’apice della sua potenza nell’XI secolo per poi iniziare un lento declino. Pisa, sonoramente battuta nella Battaglia della Meloria nell’agosto del 1284, si era anch’essa indebolita. Insomma: quando nel 1298 i Genovesi decisero che fosse ora di chiudere i conti con Venezia erano all’apice della loro baldanza. Laddove Genova cercava di accaparrarsi privilegi commerciali verso il Mar Nero negoziando con Costantinopoli, Venezia, alleata a Carlo d’Angiò, non esitava a negoziare col Khan dei Tartari per ottenere basi commerciali in Crimea. A seguito di provocazioni, rappresaglie e vendette, si arrivò al fatale 8 settembre 1298. Location: il braccio di mare fra l’Isola di Curzola e Lastovo (l’antica Augusta Insula), nella parte meridionale dell’odierna Croazia, braccio di mare cruciale per in controllo del traffico fra Alto e Basso Adriatico. Protagoniste: 78 fra galee, galeotte e fuste genovesi vs. 95 analoghi legni veneziani. In comando Pietro Gradenigo, Doge e l’Ammiraglio Andrea Dandolo per Venezia vs. Lamba Doria, Capitano del Popolo di Genova. Quest’ultimo aveva avuto l’ordine di attaccare la flotta veneziana «anche a costo di stanarla nella sua stessa laguna».

A favore di vento, la flotta genovese piombò addosso ai veneziani «all’arrancata», ovvero sotto il massimo sforzo di remi, e ne ruppe i ranghi. Lo scontro fu terribile. Quando i veneziani, in netta superiorità numerica, credevano di avere la meglio, dal ridosso dell’isola di Lastovo scapolò a tutta velocità una squadra di quindici galee genovesi che Lamba Doria aveva tenuto in agguato. Poi il caos: 78 galee veneziane furono affondate e 18 catturate. 7500 i morti e 7000 i prigionieri. Per quanto vittoriosi, anche i genovesi uscirono malconci dallo scontro. Tanto da dover rinunciare a far vela su Venezia ormai sguarnita: il figlio di Lamba Doria stesso fu ucciso. A sua volta, l’ammiraglio Andrea Dandolo, catturato e incatenato ad un banco di galea, nel resoconto si tolse la vita, secondo lo storico Sabellico, «rompendosi il cranio contro il banco al quale era stato incatenato». Dandolo era lo zio di Marco Polo. Questi, a sua volta, comandava una delle galee veneziane come riconoscimento per le sue imprese nel Catai. Portato a Genova, condivise la cella con Rustichello da Pisa, celebre prigioniero della battaglia della Meloria. A questi detterà Il Milione, passato alla storia come opera di Marco Polo, Veneziano. O no?!

Da qualche tempo un’attiva ed agguerrita pattuglia di storici croati rivendica una qualche forma di identità (nazionale? etnica?) croata ad un certo Marko Polo, nativo di Curzola. Forse. Sarà. Perché no. A patto che si abbandonino anacronistiche etichette nazional-burocratiche che molto ed ahimè troppo danno hanno fatto. La forza di Venezia – come quella dei secoli migliori dell’Impero Romano – era costruita anche sul fatto che «veneziano» era chi contribuiva alla sua grandezza. Marko o Marco che si facesse chiamare – che poi non cambia niente.