Mangia come vuoi: libertà condizionata

/ 22.01.2018
di Luciana Caglio

Mai come oggi, l’atto di mangiare è stato così facile e sollecitante. Tanto da provocare, alle nostre latitudini ovviamente, quell’imbarazzo della scelta che ci blocca, quando si entra nei reparti alimentari dei supermercati. Traboccano di prodotti d’ogni tipo e provenienza, proposti nelle forme più diverse: freschi, conservati, precotti, sotto vuoto, surgelati, da asporto, e via dicendo. Devono, infatti, soddisfare le molteplici esigenze, sfizi gastronomici compresi, di un pubblico che, per giunta, vuol mangiare quando e dove gli fa comodo. Il commercio gastroalimentare si sta, quindi, adeguando. Si moltiplicano, con il pretesto di festività ed eventi, mercati e mercatini che offrono, giorno e notte, cibi cosiddetti genuini, da consumare sul posto. A loro volta, cambiano arredo e menu, i luoghi per definizione demandati a questa funzione: ristoranti, grotti e anche i bar, ormai in grado di servire pizze, capresi, insalate. Insomma, cosa non si fa per attirare una clientela, spesso imprevedibile e incontentabile, impegnata in una sorta di nuovo hobby. Da semplice necessità fisiologica, mangiare è cresciuta a occasione sociale e persino culturale. L’alimentazione figura, ormai, fra i temi prediletti dai media: le rubriche gastronomiche occupano paginate sui quotidiani e in tv fanno spettacolo le gare fra cuochi principianti giudicati dai grandi chef, divi del momento.

Ma al di là della sua stessa popolarità, il rapporto con il cibo sta diventando un esempio lampante dei paradossi dell’epoca. A mangiare ci si sente, da un lato, incitati e favoriti e, dall’altro, frenati e persino colpevolizzati. Una funzione istintiva, indispensabile alla sopravvivenza, si trova adesso esposta a una nuova categoria di rischi. Non concernono più la sua materia prima, alimenti che nel passato deperivano facilmente, ma toccano aspetti sempre più ampi e sfuggenti, d’ordine scientifico, morale, filosofico, religioso. In altre parole, ai cibi si attribuiscono poteri positivi, o negativi, a cui affidare la salute, la gioventù, la bellezza, l’efficienza e via enumerando gli effetti prodigiosi sia di diete, erbe, unguenti, sia di pratiche sportive, di tecniche respiratorie, e via enumerando ricette salvifiche d’ogni genere e prezzo. S’impongono, insomma, comportamenti e consumi, considerati promettenti in sostituzione di altri, ritenuti dannosi.

In proposito gli esempi si sprecano. Ecco, da evitare, le carni rosse, lo zucchero, i dolciumi, il caffè, i grassi, gli insaccati, le bibite gasate, i formaggi fermentati: un elenco che, guarda un po’, sembra contenere cibi abbinati, tradizionalmente, alla sensazione gustativa del piacere. Da qui, i connotati di tipo sacrificale, attribuiti a rinunce dagli effetti discutibili. In realtà, si assiste alla diffusione contagiosa di abitudini alimentari e comportamentali che fanno capo alla credulità, per non dire al fanatismo.

Un fenomeno, paragonabile al populismo in politica: ne è convinto Uwe Knop, studioso di scienze nutrizionali e autore di libri che trasmettono una voce controcorrente, che fa scalpore e suscita malumori. Senza mezzi termini dichiara: «Le raccomandazioni dietetiche sono baggianate». E ancora: «Un’infinità di studi e ricerche si presta a interpretazioni diverse, via via corrette o rovesciate: gli effetti del caffè sulla pressione, lo stress, la sessualità non si basano su dati precisi». E allora come reagire? Secondo Knop, la scienza alimentare deve aiutarci a stabilire la propria dieta individuale, «cosa mi piace e cosa tollero meglio». Mettendo, invece, al bando certe condanne assolute, nei confronti dei piatti pronti, del pasto rapido, pizza e birra. E, d’altro canto, rifiutando il mito delle fibre, che possono essere persino indigeste, e dei due litri d’acqua, «dose insensata, se non si ha sete».

Sulla stessa linea si è espresso, sulla «NZZ», Urs Bühler, insistendo sui contenuti ideologici e morali, anzi moralisti, che accompagnano queste scelte alimentari. La rinuncia a cibi coincide, infatti, con una ricerca di sublimazione di un atto quotidiano e banale. Non a caso, il digiuno, al venerdì per esempio, figurava negli obblighi del cattolico praticante. Ora, fintanto che la scelta rimane personale, niente da ridire. C’è da preoccuparsi, osserva Bühler, quando coinvolge un gruppo in grado di farsi sentire sul piano politico, chiedendo addirittura interventi dello Stato.