Mai senza un libro

/ 04.05.2020
di Luciana Caglio

Anzi molti libri. Fanno da cornice ai personaggi che, in queste settimane, sono chiamati alla ribalta televisiva per proporre la loro testimonianza nell’era Coronavirus. In collegamenti a distanza, compaiono spesso con, alle spalle, una biblioteca. Non stiamo parlando dei politici, costretti a presentarsi, sparpagliati sugli spalti di parlamenti deserti né, tanto meno, dei medici e infermieri, affaccendati nelle corsie degli ospedali. Il contorno libresco spetta ad altre categorie professionali: giornalisti e scrittori, ovviamente. La scelta dei volumi, di cui si circondano non è casuale. Luciano Fontana, direttore dell’autorevole «Corriere della Sera», non può che presentarsi davanti ai volumi, rilegati e severi, di un’enciclopedia. Mentre scrittori, del tipo scapigliato snob come Giampiero Mughini, preferiscono scaffali disordinati, dove c’è di tutto.

I libri non mancano neppure nelle case di psicologi e terapeuti vari, interpellati per ottenerne indicazioni su rimedi antidepressivi, oggi più che mai necessari. Fra cui, in prima linea, figura la lettura.Il libro, insomma, va per la maggiore. Da oggetto marginale, passatempo sotto l’ombrellone, è promosso a strumento di riconosciuta utilità, un salva-vita in caso d’emergenza. Tanto da creare un nuovo obbligo. Sfilano, adesso, sui teleschermi le immagini di personaggi, simpatici e popolari, campioni sportivi, cantanti, intrattenitori, nell’insolito ruolo di promotori della lettura. Con la quale sembrano avere una familiarità dell’ultima ora. E lo conferma lo scenario della loro sguarnita biblioteca domestica. Ironie a parte, contano, di questi tempi, i buoni propositi. Si allarga, infatti, la categoria dei futurologi, quelli che affacciano previsioni sul dopo che verrà: e sarà una stagione di ravvedimenti. Insomma, un generale cambiamento di abitudini e di valori, che dovrebbe comportare la riscoperta della lettura, compagna del tempo libero, riveduto e corretto. Non più viaggi tanto per andare, acquisti tanto per comprare. Invece, piaceri sedentari e veramente ritempranti, affidati alle pagine stampate.

Un dubbio, però, si giustifica nei confronti di questa svolta, certo all’insegna della saggezza, ma anche del moralismo e, non da ultimo, di un malinteso. Perché quel prima, che si vorrebbe sostituire, non era poi tutto da buttare. Consentiva di fare e andare, magari sbagliando, come succede quando si è liberi. Evitando, persino, di leggere. E qui una precisazione è d’obbligo. La lettura è un’abitudine che, solo in parte, s’impara. Magari a scuola con l’insegnante che sa ringiovanire i Promessi sposi. O a casa, dove, a volte, rappresenta una forma di eredità familiare. In seguito, la voglia di leggere cresce o si esaurisce sotto i più svariati influssi: negli ultimi decenni, la concorrenza dell’immagine che ha rubato spazio alle parole stampate. Comunque, non va imposta. Neppure la solitudine del Coronavirus riuscirà, salvo eccezioni, a convertire i non lettori, o lettori occasionali, in lettori fedeli. Persone che, effettivamente, il libro lo usano nel giusto modo.

Non sempre è il caso. Il libro si presta, infatti, a funzioni diverse. Tornando al tema degli scaffali dietro gli ospiti televisivi, serve come immagine. Il libro è, materialmente, un oggetto, decorativo e in pari tempo simbolico. Arreda bene le pareti di casa, tanto più se si presenta in veste accurata, persino preziosa. Appartiene al novero dei pezzi da esibire, alla stregua di un biglietto da visita sociale e cultuale. Capita, però, che quegli ammirevoli volumi rimangano intatti. Parlo per esperienza. I ripiani, più in alto, di una mia libreria, ospitano la collezione dei Nobel letterari, mai sfogliati. Mentre, su altri scaffali, si affollano, caoticamente, volumi e volumetti, spesso d’attualità, acquistati di gran fretta, non sempre meritevoli di attenzione. Altri, invece, e alludo a certi classici trascurati in gioventù, rivelano, al lettore vecchio, adesso chiuso in casa, il loro intatto potere di seduzione.Anche sulla sorte del libro-oggetto, piacevole da toccare, sfogliare, da ascoltare, attraverso il fruscio delle pagine, girate, incombe, con l’arrivo del tablet, una svolta, forse irreversibile. È una meraviglia tecnologica: una biblioteca, di dimensioni mondiali, racchiusa in una scatoletta. Qui il divario generazionale si fa sentire, senza scampo. Superfluo, per quel che mi concerne, confessare da che parte sto.