La seconda ondata, prevedibile e prevista, è arrivata; e l’Europa – tranne la solita Germania – si è fatta trovare clamorosamente impreparata.
Rispetto a marzo, almeno si trovano le mascherine, e si fanno molti più tamponi. Ma il sistema di tracciamento è ormai saltato. A Roma ci sono persone che fanno ore di coda per uno dei test più banali che esistano: un tampone non è una Tac o una risonanza magnetica, è un bastoncino che si infila nel naso e/o in gola e trae materiale in cui grazie ad appositi reagenti è possibile rilevare o escludere la presenza del virus. Eppure le operazioni più semplici diventano, nella capitale italiana, molto complicate. E anche il settore della sanità privata, tenuto incomprensibilmente a freno per mesi, ora che è stato autorizzato a fare pure i tamponi molecolari fatica – con le solite eccezioni – a mettersi in moto.
Il presidente del Consiglio Antonio Conte esita a prendere le decisioni più drastiche, che il partito democratico gli chiede. Il premier capisce di non essere più popolare come ai tempi del lockdown. Gli italiani hanno paura del virus, ma hanno anche paura della povertà. E la burocrazia si conferma a ogni occasione strutturata più per alimentare se stessa che per rendere esecutivi i provvedimenti: lo Stato italiano è un pessimo pagatore, e molte risorse già stanziate non sono ancora arrivate, dalla cassa integrazione agli aiuti ai lavoratori autonomi.
Questo spiega ma non giustifica l’insofferenza che serpeggia nel Paese. Più che negazionisti, molti italiani mi sembrano insofferenti alla mascherina e alle altre regole. Che non piacciono a nessuno; ma pure un popolo individualista e familista dovrebbe convincersi che, se noi e i nostri familiari abbiamo la fortuna di non avere il Covid, questo non significa che altri non lo abbiano, e non possano trasmetterlo.
Del resto, il negazionismo detta legge in molti campi, ed è stretto parente del complottismo. L’attitudine è antica come l’uomo. Tendiamo a pensare che le cose non siano così come ci vengono raccontate. Il che a volte è vero; ma non sempre. Il confine tra un sano spirito critico e la più sfrenata fantasia è labile, e spesso viene superato. Il criticone a prescindere, lo scettico integralista, il complottista è sempre esistito; ma finora il suo campo d’azione era limitato ai tavolini del bar. Ora la rete gli ha spalancato le praterie di Internet e della società virtuale. E in rete tutto ciò che è «alto» – la politica, la scienza, financo il giornalismo e tutto quanto sia percepito come «rappresentazione» – viene automaticamente screditato, a favore del «basso», il luogo mitico in cui si dicono «le cose come stanno», e la «voce del popolo» diventa effettivamente «voce di Dio». Ormai il negazionista-complottista ha conquistato l’egemonia. Se poi ha l’impressione di essere leso nei propri interessi – o nel proprio narcisismo, altro fenomeno galoppante –, allora si salvi chi può.
I dati peggiorano ogni giorno. L’esperienza dimostra che la pandemia può aggravarsi molto rapidamente. L’allarmismo non serve a nulla, ed è controproducente. Ma in giro non sento allarmismo. Sento molta gente sostenere tesi strampalate e assurde: è un complotto cinese, no è un complotto americano, ma che dite è un complotto mondiale, no è un piano di Conte per tenerci sotto controllo. Verrebbe da dire: magari ci fosse un piano. Il mondo intero va avanti a tentoni, naviga a vista. L’unico Paese davvero uscito dalla pandemia è la Cina; ma l’ha fatto con metodi dittatoriali impensabili in Europa. Però tra l’esecuzione sommaria di coloro che trasgredivano il lockdown e tossire sul prosciutto con la mascherina abbassata, come ho visto fare al salumiere l’altro giorno, c’è di mezzo il buonsenso, il rispetto reciproco.
Il povero Conte è stato paragonato sia a Göring sia a Fidel Castro. Ma qui non ci sono nazisti o bolscevichi. Ho qualche dubbio che il coprifuoco serva davvero. Ma rinunciare a fare tardi la sera non significa essere rastrellati e mandati nei lager o nei gulag. C’è un governo e ci sono «governatori» non sempre all’altezza della situazione. Si tratta ora di capire se Conte riuscirà a ritrovare il bandolo della matassa, o se si avviterà su se stesso. Di rimpasto di governo non si parla più, e neppure dei due vicepremier destinati ad affiancarlo; ma non è detto che sia un buon segno. Si attendono i soldi dell’Europa come una manna provvidenziale; ma già ora l’Italia non riesce a spendere tutti i fondi europei. Una quota del Recovery Fund, oltre ai sacrosanti investimenti su digitale, infrastrutture, ambiente, dovrà servire anche a ristorare i danni che la pandemia continua a infliggere a un tessuto produttivo che non si era mai ripreso del tutto dalla grande crisi finanziaria iniziata in America nel 2008.