Carissima Silvia,
ho bisogno di un suo parere. Ho 67 anni e sono in pensione ma questa situazione non mi va bene. Avendo sempre lavorato come insegnante ora mi sento vuota e inutile. Da un po’ di tempo sento crescere un rancore sempre più forte verso mia madre morta sei anni fa. Mi tornano in mente le sue cattiverie verso di me bambina: mai una carezza, mai un bacio, mai una parola dolce ma solo rimproveri e confronti con le mie amiche sempre più brave di me. Anche tante critiche: come sei vestita male oggi, che brutti orecchini e via dicendo. Io l’ho sempre accettata così com’era ma ora sento rancore e rabbia. Perché proprio adesso? Mia figlia si è sposata da poco e io l’ho subissata di complimenti di baci, di tutto l’amore che potevo. Per il mio matrimonio neanche due parole di augurio: era troppo presa dal suo amante invitato contro la mia volontà. Mia madre era vedova. Sono così rabbiosa che non vado più al cimitero e non la vorrei rivedere nell’aldilà. C’è un’altra cosa che non capisco di me: sono entrata in una fase francescana. Non ho più bisogno di nulla: abiti, gioielli, lusso. Ma sento l’esigenza di donare ai più bisognosi e questo mi fa stare bene. Vorrei che anche mio marito fosse come me ma lui spende e spande senza neppure consultarmi e questo mi fa imbestialire. Amo alla follia mia figlia ma mi piacerebbe ritirarmi in un monastero vestita di un solo saio. Demenza senile? Crisi? Mi scuso per lo sfogo ma avevo bisogno di condividere questo travaglio che ho nel cuore. / Gabriella
Cara Gabriella,
dopo la pensione ci troviamo tutti ad affrontare il compito di reimpostare la vita con nuove priorità, con nuovi obiettivi. E spesso questa condizione, apparentemente felice, provoca un senso di disorientamento che ci induce ad agire contemporaneamente e affrettatamente su più fronti. Nel tuo caso poi, dopo il matrimonio della vostra unica figlia, rimasta sola con tuo marito, ti sei trovata a dover ridefinire anche il rapporto di coppia.
Il risultato mi sembra una grande stanchezza, che si rivela nel desiderio di indossare un saio, chiuderti in convento, lasciare il mondo. In questo momento, in cui i consumi eccessivi stanno minacciando l’equilibrio ambientale, va benissimo pronunciare voti di povertà ma questa decisione non ti autorizza a condannare tuo marito. Probabilmente è sempre stato così e forse, sino a poco fa, hai accettato senza protestare il suo stile di vita. Non è giusto che chi opera scelte esistenziali impegnative e profonde le rivolga polemicamente contro chi non le condivide. Ci vuole calma per elaborare una posizione di rinnovamento radicale che ci confronta col passato e, di conseguenza, con il presente e con il futuro. Durante l’infanzia sei stata profondamente delusa da tua madre e, per difendere il tuo diritto a crescere, a diventare grande, hai evitato di cadere nella trappola del rancore. Capita spesso, e con buone ragioni, che i bambini preferiscano ignorare il disamore dei genitori per sottrarsi a un conflitto che considerano perdente. Il costo però è di lasciare in sospeso emozioni che, espulse dalla porta, tenteranno di rientrare dalla finestra.
È quello, cara Gabriella, che ti sta accadendo. Divenuta a tua volta mamma, hai cercato di non ripetere l’atteggiamento indifferente e crudele di tua madre, riversando tutto l’amore possibile sulla figlia. Come sono solita ripetere, è il modo migliore per interrompere la catena del disamore e ricevere indirettamente ciò che ci è stato negato direttamente. Una possibilità che smentisce il pregiudizio secondo cui chi non è stato amato non saprà mai amare anzi, spesso è vero il contrario!
Ora la figlia si è sposata, è uscita di casa e, sul vuoto dell’assenza, riaffiorano i ricordi con il loro carico di emozioni rimosse. È soprattutto la vita non vissuta che chiede di essere ripensata, elaborata, compresa e rimessa al posto che le spetta. Il mio suggerimento, cara amica, è di far emergere i ricordi e scrivere la tua autobiografia. È il modo migliore per mettere ordine e dar senso al pulviscolo degli eventi. Mettersi nei panni degli altri, guardarli con empatia, comprendere le loro ragioni e, per quanto possibile, giustificarli e perdonarli aiuta a far pace con se stessi.
È quanto ho cercato di fare scrivendo Il bambino della notte, l’autobiografia che mi ha riconsegnato una mamma diversa rispetto ai miei ricordi, più comprensibile, più amabile. Riconciliarsi con le persone più importanti della nostra vita è il modo migliore per guardare il futuro con occhi più positivi. Apprezzo la tua intenzione di «donare tutto ai più bisognosi» ma rifletti bene su quello che fai, non deve essere un atteggiamento polemico, contro qualcuno, ma un gesto d’amore verso te stessa oltre che verso gli altri. La tua crisi, credimi, non è demenza senile, ma una delle tante sfide che la vita ci pone prima di affidarci alla memoria degli altri.