Orsono all’incirca due settimane, il vostro audace Altropologo si trovava ad esplorare la plaga remota ed ostile, nota per le estese paludi da dove esalano miasmi mefitici che alimentano feroci zanzare e torme di nutrie – un vero e proprio Pantanal, che si estende a perdita d’occhio (poiché d’inverno c’è una nebbia che non si vede oltre la punta del naso) a Nord di Ravenna verso le misteriose foci del Po.
Si era deciso di far tappa, esausti per la calura e l’incombente minaccia dei nativi che scorrazzano su e giù per la Strada Statale Romea a cavallo di autotreni fuori ordinanza sparando a tutto volume bordate di «Romagna mia» addosso a chiunque si avventuri nel loro territorio. Il luogo scelto per la sosta era un avamposto dell’antica e ormai dimenticata civiltà bizantina nella forma di un minisupermarket situato a lato della ferrovia e sotto un viadotto noto nella zona per essere cresciuto chissà come nel posto più disgraziato del circondario – ma anche per servire a coloro che azzardano da quelle parti certe tagliatelle, cappelletti, strozzapreti e anguille marinate ormai entrati nella leggenda.
Sul punto di attaccare un’aspra montagna di cappelletti al formaggio di fossa di Sogliano (che raccomando) il figlio della Signora Laura – che è l’arzdora («reggitrice», titolo che in Romagna spetta alla Donna che Comanda e zitto il resto del mondo) – arriva al tavolo con un cartone da almeno mezzo metro cubo, lo sbatte senza troppe cerimonie sul medesimo e comincia a ravanarci dentro. Noi tutti presto si era a scrutarne le profondità: sul fondo una certa materia giallastra e fragrante difficile da descrivere e certo mai vista dagli occhi di un Occidentale. «Macis: ecco, quello che i signori stanno vedendo è il Macis, la meraviglia delle Isole Molucche». Così il nostro mentore, col fare di chi dispensa sapere agli ignoranti ed il viatico ai moribondi. Poi, prima che si potesse fermarlo, afferra un tot della suddetta materia e comincia a grattarne quantità industriali sui nostri cappelletti. A condire l’operazione la narrazione dei suoi perigliosi viaggi annuali alle Molucche per rifornirsi del prezioso, incomparabile Macis che un giorno, risolti certi problemi d’importazione e licenze alimentari, lo avrebbe a suo dire fatto ricco.
Le Molucche, arcipelago indonesiano ad ovest della Nuova Guinea, erano note un tempo come Isole delle Spezie. Da qui – si diceva fra il sapere certo e la leggenda – provenivano quelle spezie che facevano ricco il commercio musulmano e costituivano la fortuna della Repubblica Veneta che le distribuiva in tutta Europa. Preziosa fra le perle era la noce moscata, seme dell’albero Myristica Fragrans, sempreverde che può raggiungere i venti metri d’altezza. Il Macis costituisce l’endocarpo, ovvero la polpa del frutto che avvolge il seme: della noce matura ha tutta la fragranza ed il sapore ma in forma più delicata. È largamente usato nella cucina indiana, anche se ha avuto meno fortuna in quella europea. Nel XVI secolo il commercio via mare con le Molucche attraverso la rotta orientale che circumnavigava l’Africa era dominato dai portoghesi. Fra questi spiccava per intraprendenza e coraggio Ferdinando Magellano, figlio della piccola nobiltà che fin da giovane aveva partecipato a spedizioni militari e diplomatiche verso l’India e le stesse Molucche. Nel 1513 Magellano era caduto in disgrazia presso il re portoghese Manuel I. Questi gli aveva ripetutamente negato la concessione di navi per esplorare la possibilità di raggiungere le Molucche da est salpando verso Occidente, ovvero circumnavigando stavolta non l’Africa ma l’America Meridionale, la geografia della quale cominciava allora a delinearsi alla navigazione. Ferito nell’orgoglio, Magellano si buttò allora con la concorrenza e propose l’impresa a Carlo I di Spagna, nemico storico dei portoghesi. Il 10 Agosto 1519 una flotta di cinque navi cariche di rifornimenti per due anni di viaggio salpò dal porto di Siviglia. Dei 270 uomini di equipaggio solo quaranta erano portoghesi. Dopo una traversata atlantica durante la quale tre dei capitani spagnoli si ammutinarono e finirono chi ucciso in combattimento e chi giustiziato, la flotta raggiunse il Pacifico attraverso lo Stretto di Magellano. Magellano stesso non avrebbe mai visto il gran finale di quella che fu la prima circumnavigazione del globo. Il 27 Aprile 1521, determinato a convertire al cristianesimo i nativi dell’isola di Mactan, nelle Filippine, ingaggiò battaglia con forze esigue ed ebbe la peggio. Antonio Pigafetta fu testimone oculare dell’evento: dato l’ordine ai superstiti di ritirarsi a bordo delle navi, Magellano restò solo a coprirne la fuga e fu massacrato a colpi di machete: «…lo colpirono più volte, fino ad uccidere il nostro specchio, la nostra luce, il nostro conforto – la nostra vera guida». Così Pigafetta che completò la circumnavigazione alle Molucche sull’unica nave superstite dell’intera flotta. Il nome del legno? Victoria.