Luttrop e il giornalista promosso

/ 27.11.2017
di Alcide Bernasconi

Credo che mio padre – che si chiamava Alcide, come me – si convinse in un momento preciso che potessi continuare nella mia nuova professione di giornalista, non solo sportivo, come era il caso ancora negli anni Sessanta. Successe dopo un articolo su Otto Luttrop, il campione di calcio tedesco che tutti invidiavano al Lugano. In quei giorni egli era ricoverato all’Ospedale Civico per una brutta botta a un piede, credo il destro. I tifosi bianconeri erano però dubbiosi: forse l’Otto voleva cambiare squadra, perché le offerte non mancavano. 

Ricordo semplicemente questo episodio, per un necrologio che arriva ultimo, visto che «Azione» non è un quotidiano. I suoi sostenitori, l’hanno avuto sempre nel cuore, citandolo appena possibile anche nel calcio di oggi per le sue cannonate, spesso con punizioni da distanza ragguardevole, oltre che con colpi di testa in cui faceva valere la forza delle gambe in elevazione, e ancora le finte che mettevano fuori gioco gli avversari superati con straordinaria eleganza, nonostante il suo fisico possente ma scolpito come quello di una statua greca o romana. 

Sui dati più importanti della sua carriera avrete letto negli scorsi giorni tutto ciò che ha fatto di lui un campione eccezionale. Sebbene fosse diventato un eroe sportivo con la maglia del Lugano, perfino il «Blick» lo venerò chiamandolo «Atom Otto», per quei tiri micidiali che permisero ai bianconeri di vincere una Coppa Svizzera nel 1968, battendo a Berna il Winterthur per 2-1. Ad aprire le marcature fu proprio Otto, che trafisse il pur bravissimo portiere Caravatti, che, guarda un po’, era di Lugano. Il raddoppio lo firmò Simonetto Simonetti. 

Era una bella squadra con i vari Prosperi, Coduri, Pullica, Signorelli, Vito Gottardi e il funambolico «Cens» Brenna, allenata dallo zurighese Louis Maurer. Un Lugano che giunse perfino a un soffio dalla conquista del titolo, negatogli dall’agile Künzli dello Zurigo che sfruttò un erroraccio difensivo proprio sul campo luganese.

Anche per questo fatto, penso che i tifosi luganesi (si contarono fino a diecimila spettatori in alcune partite di cartello attorno al campo di Cornaredo!) credessero che l’Otto, giustamente ambizioso, volesse cambiare squadra per conquistare un altro titolo nazionale dopo un campionato e una Coppa vinta col Monaco 1860, e dopo la bella Coppa Svizzera vinta col Lugano che in Coppa delle Coppe affrontò il Barcellona. Ricordo che Otto, nell’andata a Cornaredo, colpì di proposito un avversario fastidioso con un pedatone sul sedere, dopo un battibecco a centrocampo.

Ma torniamo al mio primo incontro a tu per tu col grande campione, che valse a mio padre un bel po’ di complimenti… Al campione tedesco spiegai il motivo della mia visita: scrivere cosa c’era di vero nelle voci di una sua probabile partenza.

Otto, che soffriva chiaramente, riuscì comunque a sorridere mentre con cura svolgeva il bendaggio per mostrami la caviglia colpita in una gara di allenamento. Impressionante! Era di un viola intenso, con tutte le sfumature a margine. Chissà quando avrebbe potuto tornare in campo, il nostro eroe preferito, che pure sembrava d’acciaio. «Mah, non lo so neppure io. A questo proposito i medici non mi hanno ancora detto nulla». Otto si esprimeva già molto bene in italiano. A me non restava che fargli gli auguri per correre in redazione a scrivere il pezzo così da rassicurare i tifosi che Luttrop sarebbe rimasto a Lugano. Ma prima doveva rimettersi in sesto. 

Intanto era entrato nella camera il compagno Lusenti, mentre io, uscendo, diedi ancora un’occhiata ai due giocatori bianconeri. Otto stava togliendosi un’altra volta la fasciatura, per mostrare l’entità del colpo ricevuto alla gamba, con quella caviglia da film dell’orrore. Lusenti scrollava la testa, dicendosi che non era possibile. Chiusi la porta senza far rumore e me ne andai un po’ sconsolato. Anch’io ero un tifoso.

Credo che Otto apprezzò quell’articolo scritto da uno che non frequentava allora lo spogliatoio dello stadio di calcio, poiché impegnato con gli incontri di hockey e le storie di Lugano e Ambrì Piotta. Diventammo amici, con brevi saluti e qualche impressione scambiati allo stadio.

Sono davvero triste: stavolta sì, Otto è partito per un viaggio senza ritorno e sono vicino ai suoi famigliari ricordando i bei momenti che Otto Luttrop ci fece vivere seguendo la nostra squadra del cuore. Un campione vero, per il quale, alcuni tifosi, esagerando, avevano coniato un detto, poi fortunatamente dimenticato poiché il Lugano non era chiaramente soltanto il grande centrocampista tedesco: «Lu-trop, i altri nagott!».