L’uomo è un animale culturale

/ 19.07.2021
di Lina Bertola

Due giovani turisti stanno assaporando un gelato sul Lungolago dopo aver visitato la bella mostra Capolavori della fotografia moderna allestita al LAC.

Mostra visitata anche da un’elegante coppia agée, ora seduta in un altrettanto elegante ristorante del cosiddetto Salotto di Lugano per una bella cena accompagnata da vino d’annata.
E sì, la cultura crea un indotto non indifferente! I ristoratori possono esserne contenti, soprattutto in tempi difficili per l’economia. Soddisfatti per questi effetti positivi lo sono anche albergatori, commercianti e molti altri servizi.

Queste benefiche ricadute economiche della cultura sono state puntualmente descritte e quantificate in un recente studio commissionato dal Cantone.
L’effetto positivo della cultura sull’economia era facilmente immaginabile, ma ora abbiamo i dati oggettivi: disponiamo di evidenza scientifica, recita il comunicato stampa. Forse era un gesto politico necessario quello di dimostrare, agli scettici e più in generale a chi criticasse le troppe spese per la cultura, che in realtà si tratta di un buon investimento economico. Ogni franco erogato genera più del doppio di valore aggiunto.

Considerare la spesa pubblica come un investimento è un’ottima giustificazione che aiuta a garantire l’approvazione delle scelte politiche. E questo sembra valere anche per opere che non esibiscono un’utilità immediatamente misurabile, come invece accade per le strade o per gli ospedali.

L’esercizio di quantificare la qualità è una prassi molto diffusa. Anche nella scuola, purtroppo. Basti pensare al valore dell’esperienza della conoscenza, alla sua qualità intrinseca, non misurabile, tradotta e ridotta a competenze che pretendono di misurarla in comportamenti osservabili.

Anche il fatto di motivare la spesa pubblica per la cultura con l’unico scopo di arricchire la qualità di vita delle persone non basta. Giustificarla come pura finalità, che con i suoi valori etici ed estetici contribuisce a nutrire di senso l’esistenza di chi ne fruisce, significherebbe restare dentro il linguaggio della gratuità, un linguaggio non misurabile con criteri economici. Significherebbe mettere in primo piano lo spirito e la logica del dono e questo, lo sappiamo bene, non è adeguato al registro comunicativo pragmatico e utilitaristico che domina le nostre forme di convivenza. Per questo motivo l’idea di spesa come atto gratuito, orientato al puro benessere dei cittadini, anche se spesso sottolineata e valorizzata, non potrebbe mai bastare per giustificare scelte politiche.

Le ricadute economiche della cultura, sia chiaro, sono un’ottima cosa, ci mancherebbe. Ma come accade a tutti i rimedi efficaci, anche in questo caso c’è un effetto secondario, secondario ma non troppo. Questo sguardo utilitaristico rivolto all’economia della cultura sottolinea e a volte perfino enfatizza l’importanza di tutto ciò che le ruota intorno lasciando in ombra, sullo sfondo delle nostre parole e dei nostri pensieri, il suo valore intrinseco per l’umanità.

L’uomo è un animale culturale: la cultura, per così dire, appartiene alla sua natura. Ce lo ricorda, fin dall’antichità, un mito narrato da Platone. Epimeteo si incarica di distribuire le diverse qualità naturali agli animali ma alla fine non gliene restano più per l’uomo che rimane così mancante di qualità fisiche che gli garantiscano la sopravvivenza. A correggere l’errore del fratello interviene Prometeo donando agli uomini il fuoco e in seguito, poiché questo non bastava per una convivenza pacifica, anche rispetto e giustizia. Tecnica e valori dunque, per poter trasformare la natura e per abitarla insieme. E libertà anche, rispetto alle condizioni naturali, come sottolinea anche Pico della Mirandola quando parla della dignità umana come scelta: avvicinarsi a Dio o regredire a bestia.

Espressione e fruizione della cultura, nelle molteplici forme artistiche, si inseriscono in questo contesto antropologico. Sono intelligenza del mondo che sa accogliere il sentire con le sue ragioni, il bisogno di riflettere sul senso della vita e di farla risuonare in noi.

Il contatto con il valore e con la bellezza non è tanto in ciò che è visibile in un’immagine, o in ciò che sta dentro i suoni di un concerto e nelle parole recitate in scena, ma piuttosto nelle atmosfere, nei paesaggi dell’anima a cui immagini parole e suoni alludono, offrendo al nostro vissuto un invito a navigare oltre, in libertà.

Lasciare sullo sfondo questi aspetti costitutivi della nostra umanità non significa certo ridurne il valore. Mantenerlo perlopiù sottinteso significa però non dare spazio e parole a ciò che fa di questa umanità la nostra casa, lasciando gentilmente sull’uscio tutto ciò che vuole misurarla.