Bisogna arrendersi all’evidenza. Quel mondo, che sembrava, tutto, a portata di mano, accogliente e sicuro, non c’è più. Con effetti inevitabili sulle nostre abitudini di viaggiatori e turisti, costretti a tener conto di una nuova topografia che ha cancellato paesi e località diventati familiari: vacanze sul Mar Rosso, puntate archeologiche in Siria, in Iraq, e via enumerando itinerari, ormai off limits. Ma, adesso, se non di divieti assoluti, comunque di prudenza e di timore , si deve parlare anche nei confronti dell’Europa, con le sue grandi città, esposte all’assurda insidia degli attentati. E, quindi, impegnate in una sedicente riconversione dagli esiti incerti. Proprio queste località, frequentatissime mete obbligate e godute dei nostri più normali spostamenti, considerate al riparo da grandi pericoli, insomma luoghi da gita scolastica, aziendale e da viaggio di nozze, devono adeguarsi, cambiando fisionomia e obiettivi. Si tratta di rinunciare ai principi dell’accoglienza, della convivenza, della piacevolezza per privilegiare la sicurezza, attraverso misure di controllo e protezione in grado di blindare una metropoli. Così, almeno, negli intenti dei responsabili, ai vertici della politica, dei servizi di polizia e sorveglianza e della famosa intelligence. In pratica, con quali risultati?
La risposta me l’ha data, attendibilmente, Londra che, in proposito, rappresenta un caso persino simbolico. È, infatti, la capitale più frequentata del mondo, la metropoli per antonomasia dei contrasti assimilati, un laboratorio di sperimentazione sul piano etnico (con un sindaco musulmano) e morale, e, non da ultimo, un centro di vitalità creativa. In simili condizioni, proprio la sua reazione all’emergenza terrorismo era quanto mai rivelatrice. E va detto che agli imperativi dell’autodifesa non è venuta meno. Basta guardarsi attorno. Ecco, sui ponti del Tamigi, qua e là, cubi di cemento, ecco le barriere di metallo, le griglie, i paracarri, collocati davanti alle stazioni o ai cancelli dei parchi, risaputi punti sensibili. Mentre, agli ingressi dei musei, il visitatore deve sottostare, ma si fa per dire, al controllo di sorveglianti piuttosto distratti. Tutto ciò per dire che Londra, una volta ancora, si comporta a modo suo. Obbedisce, ma senza troppa convinzione, relativizzando.
Del resto sull’effettivo potere difensivo, o per lo meno dissuasivo di simili dispositivi si giustificano i dubbi. «Il problema è che questi ostacoli spostano semplicemente il rischio», si leggeva recentemente sulla «Neue Zürcher Zeitung», affrontando il tema del «Revival delle fortezze difensive». Che sembrano un recupero nostalgico, nell’era delle comunicazioni satellitari.
Nella capitale inglese, come a Parigi, Berlino, Nizza, la quotidianità, con i suoi ritmi e persino la sua spensieratezza, ha riconquistato il sopravvento, sia pure all’ombra di un saggio fatalismo. Si fa di necessità virtù. A Londra, già si parla di una nuova forma di Street Art, inventata dall’australiano David Gray, e destinata a trasformare gli orrendi dispositivi di sicurezza in elementi decorativi. E si aprono concorsi per gli specialisti di un’arte urbana, imposta dalle contingenze.
A questo punto una giustificazione è d’obbligo. La mia personale visione di una Londra vivacissima, la gente fuori dai pub e nei parchi a godersi il sole d’ottobre, le gallerie d’arte affollate, e tanti bambini dappertutto (per contro pochi cani) rispecchiava, certo, una realtà. Ma non soltanto. Trovava, da parte mia, il supporto di una disponibilità, di un pregiudizio favorevole. In altre parole, con questa città mi sento in sintonia. Per carità, è un rapporto diffuso alla base di particolari predilezioni urbane e paesaggistiche. Ma è diventato anche un ambito esplorato in termini scientifici: si chiama «Psiche nel paesaggio» o «Mindscapes». Ne è specialista, in Italia, Vittorio Lingiardi, autore di un saggio dall’omonimo titolo, e collaboratore del «Sole 24 ore», in cui, ha spiegato il fenomeno di questa curiosa affinità con determinati luoghi: «È perché si vedono con la mente. I panorami che amiamo sono allo stesso tempo una conferma e un’invenzione. Li possiamo trovare perché sono già in noi».