Nella scuola del futuro non ci saranno libri – non cartacei, perlomeno. Così leggo in una recente pubblicazione dedicata alla didattica del futuro. Sui banchi scolastici ci saranno computer portatili, tablet, smartphone – tutti rigorosamente allacciati in rete. L’informazione che cerchi la trovi lì, opportunamente sintetizzata per una lettura rapida e poco impegnativa. Il volume di carta diventa inutile. E, in qualche misura, anche l’insegnante: già oggi in rete si trovano programmi didattici dai quali è possibile capire e apprendere magari meglio che in aula.
Questo può essere il cambiamento più vistoso, ma non certo il più importante. Di maggiore rilievo è il fatto che tutto il processo di apprendimento si avvia ad essere modificato. Imparare voleva dire – nella scuola che fu, dalle origini antiche fino a ieri – in primo luogo ascoltare una lezione o leggere un libro, capirne il contenuto, memorizzare. L’applicazione veniva dopo. Insomma, la trasmissione verbale – orale e scritta – era il canale per apprendere la tradizione culturale. Ma i nuovi mezzi tecnologici privilegiano vie diverse: l’immagine e l’apprendimento per esperienza, tramite una simulazione. Il computer è un simulatore della realtà: tramite videogiochi, ad esempio, è possibile imparare a pilotare un aereo, oppure decidere strategie di investimenti finanziari. È, dunque, una forma di apprendimento tramite l’esperienza, «per prove ed errori», come si diceva al tempo di Dewey. Con il vantaggio, però, che in questo caso un errore non comporta un danno o una conseguenza catastrofica.
Così, se un tempo la cultura appresa a scuola era sistematica e organica, già ora tende ad essere sostituita da una massa disorganica di informazioni frammentarie, alimentata dall’enorme capacità delle banche dati e resa disponibile dalla velocità degli elaboratori. Allo studio, oggi subentra la consultazione; quanto rimanga di questi dati pescati all’occorrenza e poi, in genere, presto dimenticati, è difficile stabilire. La cultura, quella acquisita con lo studio, quella che in passato arricchiva la persona e la faceva crescere, richiede l’organizzazione del sapere intorno a concetti e idee di fondo; la documentazione raccolta in rete si limita ad accumulare dati relativi a parole-chiave. Nel primo caso il sapere ce l’hai dentro; nel secondo, è disponibile al di fuori.
È un bene? Un male? Direi: l’una e l’altra cosa insieme. Ogni progresso e ogni svolta decisiva, nella storia, hanno comportato vantaggi e svantaggi, acquisizioni e perdite. Quando fu inventata la scrittura cominciò – a giudizio di Platone – il declino della memoria; ma, in compenso, la tradizione fu consegnata a fonti più durature e affidabili. Quando fu inventata l’automobile iniziò una capacità di spostamento ben più efficiente e rapida rispetto a quella consentita dalla carrozza a cavalli; ma noi oggi ci lamentiamo delle code interminabili in autostrada, degli incidenti automobilistici, dell’inquinamento da gas di scarico…
Così è anche per l’epoca cominciata di recente, quella delle tecnologie informatiche. Ci sono competenze e abilità che si vanno perdendo, anche nel campo dell’istruzione: la memoria, in primo luogo; poi, anche la competenza linguistica. Dappertutto, nel mondo occidentale, è segnalata la povertà lessicale dei giovani, la loro crescente difficoltà a comporre o a decifrare frasi complesse: al posto delle parole, nella nuova scrittura «messaggistica», si usano icone, faccine che piangono o che ridono, stereotipi abbreviativi e così via. In cambio, si è sempre connessi, sempre aggiornati sulle faccende degli amici – anche di quelli che sono solo virtuali.
È un nuovo villaggio globale che nasce. O addirittura – a detta di alcuni che si sforzano di scrutare più avanti, nel mondo che verrà – una nuova identità umana: non più quella del singolo individuo, con la sua storia, la sua memoria, le sue capacità; ma una «creatura planetaria» (così la chiama Giuseppe O. Longo nel suo libro Il nuovo Golem) «di cui le reti, e le macchine e gli uomini che ne fanno parte, sono il primo stadio embrionale ma già vigoroso». Questa creatura planetaria ingloberebbe in sé le memorie e le capacità individuali: diverrebbe dunque un’entità superiore, dentro la quale ogni individuo starebbe come le singole formiche rispetto al formicaio. Così, la somma di innumerevoli capacità potenzierebbe enormemente le risorse intellettuali dell’umanità.
Sarà bene, sarà male? Ai posteri – per fortuna – l’ardua sentenza.