La Germania si appresta con grande spiegamento di mezzi a celebrare il bicentenario della nascita di Karl Marx. La città natale sulla Mosella, Treviri, non ha lesinato sulle spese. Innumerevoli le iniziative: esposizioni, cicli di conferenze, programmi didattici per le scuole, e poi una montagna di oggetti-ricordo, dai calendari alle tazze ai magneti con l’effigie dell’illustre concittadino. Un vero e proprio bazar che aprirà le porte il prossimo 5 maggio, giorno in cui cade il bicentenario. Dalla Cina è giunta un’enorme statua che negli abitanti ha suscitato imbarazzo (accettare o no un simile ingombrante dono?). Nel frattempo la voluminosa biografia scritta da Jürgen Neffe, Marx der Unvollendete [Marx l’incompiuto], ha scalato la classifica dei libri più venduti.
Ben diversa l’atmosfera nel 1983, anno del centenario della morte. Allora la Germania era ancora divisa in due, dall’est continuava a spirare un vento gelido, con la DDR che mai avrebbe pensato di ripudiare il marxismo-leninismo d’impronta sovietica di cui magnificava le glorie e le conquiste. Ora invece il barbuto rivoluzionario, chiamato in famiglia affettuosamente «il Moro», non fa più paura. Il comunismo che l’aveva idolatrato è naufragato, almeno nell’emisfero occidentale. Treviri si è quindi in qualche modo riconciliata con il suo figlio ribelle, terzo rampollo di un giurista ebreo convertitosi al protestantesimo.
Ma qui ci interessa un altro aspetto: come mai Marx non scelse la Svizzera come meta della sua odissea migratoria indotta da persecuzioni ed espulsioni? Numerose furono infatti le tappe del suo esilio dopo la repressione seguita alla «primavera dei popoli» nel 1848: Parigi, Bruxelles, Londra, dove visse fino alla morte (1883), chino sui brogliacci dei suoi studi di economia. Perché non riparò nella vicina Confederazione, dove pur avevano trovato rifugio molti suoi compagni di lotta? Temeva forse l’estradizione? Sono interrogativi che rimangono aperti.
In realtà, Marx mise piede anche su suolo elvetico, e questo è un capitolo poco noto della sua vita. Accadde nel 1882, di ritorno dal suo primo, e unico, viaggio extraeuropeo. Nel febbraio di quell’anno Marx si recò ad Algeri, nel tentativo di sfuggire ai rigori invernali e alle brume di Londra. Consunto nel fisico, logorato da bronchiti e da altri malanni, trascorse nella città nordafricana alcune settimane, ma senza ottenere i benefici sperati. Anzi, i giorni si erano rivelati freddi e piovosi. Fu allora che il vecchio rivoluzionario fece un gesto che suscitò meraviglia: varcò la soglia di un figaro berbero per liberarsi della barba e della sua ormai canuta zazzera. Prima però si fece fotografare nella consueta posa di sovversivo irsuto. Ricostruisce questo curioso episodio un libro appena uscito, Karl Marx beim Barbier [Karl Marx dal barbiere], di Uwe Wittstock. Purtroppo del Marx sbarbato esistono solo ricostruzioni di fantasia.
Lasciata Algeri tornò sul continente, toccando Marsiglia, Montecarlo, Nizza, Argenteuil (località dell’Île-de-France), Parigi. Nel settembre decise di raggiungere, sempre per ragioni di salute, la stazione termale di Vevey, dove rimase per alcune settimane prima di approdare definitivamente a Londra. Un passaggio fugace, passato inosservato.
Rilevante fu invece l’incidenza di Marx all’indomani della morte, nell’epoca della Seconda Internazionale, l’associazione dei lavoratori fondata a Parigi nel 1889. In quegli anni la Svizzera divenne la piattaforma politica, ideologica e propagandistica della socialdemocrazia tedesca, messa al bando dalle leggi antisocialiste volute dal cancelliere Otto von Bismarck. Dalle tipografie di Zurigo uscivano giornali e periodici destinati ad alimentare le attività clandestine in Germania. Friedrich Engels, il vecchio amico considerato l’erede naturale di Marx, l’editore degli scritti inediti, fu più volte ospite d’onore dei congressi dell’Internazionale.
Infine – per scendere alla nostra dimensione locale – bisognerebbe seguire le tracce, scovare le influenze ideologiche esercitate dalla sua dottrina nel panorama politico-ideologico, nei partiti della sinistra cantonale e nei sindacati. Tante le citazioni e le allusioni, ma – crediamo – scarsa la conoscenza reale dei testi. L’avvocato Mario Ferri, all’inizio del Novecento, fu certamente un buon conoscitore della letteratura marxista; nel secondo dopoguerra lettori attenti furono Guido Pedroli, Basilio M. Biucchi, Pietro Boschetti e, negli ultimi decenni, Paolo Favilli e Christian Marazzi.
Svaniti i miti, tramontate le illusioni, è ora tempo di riporre al centro la storia senza farsi irretire dalle sirene dell’ideologia.