Einaudi (economista, primo Presidente della Repubblica italiana, morto 60 anni fa) parla di radio all’interno del libro Lezioni di politica sociale, ideato nel periodo dell’esilio ginevrino (1943-45). Il libro rappresenta una sorta di compendio del sapere di uno dei maestri del pensiero liberale, stilato con toni e intenti didattici
Qual è dunque la visione di Einaudi sul medium radiofonico? È interessante il fatto che Einaudi interpreti la radio a partire da una teoria dell’economista Emanuele Sella, uno dei suoi maestri, la «teoria del punto critico», o «teoria dei gradi decrescenti di utilità». Einaudi la riassume così: «Se una persona è assetata in un deserto, è lì che cammina a fatica, voi gli porgete un bicchiere d’acqua, quel bicchiere d’acqua rappresenta la sua sopravvivenza, se glie ne date un secondo quel bicchiere d’acqua rappresenta un piacevole dono alla sua tonicità, se glie ne date un terzo lo rafforzate ancora, ma se glie ne date un quarto, un quinto, un sesto, quei bicchieri d’acqua rappresentano il decadimento, il suo danno fisico e quindi inizia la sua parabola discendente di questo aiuto».
Per prima cosa bisogna notare la raffinatezza e la chiarezza della scrittura di Einaudi: sia Gianfranco Contini, il più importante filologo italiano, sia un critico letterario come Geno Pampaloni hanno speso parole di grande elogio per la prosa giornalistica di Einaudi, definendo il suo stile «cristallino e agevole», due aggettivi che restituiscono pienamente il senso dei suoi interventi.
Nella sua grande curiosità per tutti i fenomeni umani, Einaudi non si è limitato ad applicare la teoria del punto critico alla sfera dell’economia, ma anche a temi sociali come la famiglia, all’organizzazione di strutture religiose come i monasteri, e infine alla radio.
Bisogna subito premettere che, anche per le sue radici così legate alla terra, al suo Piemonte, Einaudi non amava molto quelli che si è soliti definire mass media. Sulla sua interpretazione negativa della radio, inoltre, pesava il ruolo fondamentale svolto dal mezzo nel periodo fascista, come strumento di propaganda.
Scrive dunque Einaudi: «È ragionevole che ogni famiglia, anche modesta, aspiri al possesso della radio che la tiene in contatto col mondo, che consenta audizioni musicali elevatrici con minimo costo e senza danno per l’adempimento dei doveri familiari, ma la radio fu altresì frutto della rabbia sentita dal demonio che è in noi contro lo spirito di critica al quale conduce gli uomini a ribellarsi contro la ripetizione, contro l’ordinario, contro ciò che tutti dicono e pensano e in quel giorno l’uomo-demonio inventò questo che può diventare strumento perfettissimo di imbecillimento dell’umanità quando cada in mano di chi se ne valga a scopo di propaganda, propaganda orale e vocale, insinuante, quotidiana, mille volte più efficace della propaganda scritta e stampata.
La voce comanda, ordina di pensare in un certo modo, ingiuria il disubbidiente e lo scettico e con la figura della ripetizione ottiene effetti sorprendenti di ubbidienza cieca, di persuasione convinta a cui nessuna parola scritta può giungere. Il passaggio dalla radio che allieta ed istruisce e fa dimenticare i dolori, alla radio che è causa di imbecillimento dell’umanità è graduale, chi sa premunirsi dall’andare oltre il punto critico nell’uso della radio?».
A una prima lettura, queste posizioni così critiche (Einaudi parla addirittura di «imbecillimento») nei confronti della radio suscitano sconcerto. Soprattutto se si paragona la radio, uno strumento che oggi consideriamo in larga misura educativo e «nobile», a media molto più «forti» e «triviali» come la televisione o il web. Ecco, se noi applichiamo la teoria del punto critico al nostro rapporto bulimico nei confronti della televisione, se noi applichiamo la medesima teoria alla voracità patologica che ci lega al mondo di internet, allora capiamo meglio cosa volesse suggerirci Einaudi.
Pensiamo per esempio alla sua efficacia nello spiegare la parabola del Servizio pubblico italiano: fino a un certo punto la Rai ha rappresentato un benefico «bicchiere d’acqua», poi si è trasformato in un fenomeno mediale e culturale «tonificante» per la vita del Paese, in seguito ha giocato un ruolo cruciale nella vita sociale e culturale del paese, contribuendo in modo decisivo a portare a termine l’unità nazionale, ma successivamente, a poco a poco, ha iniziato a ripiegarsi su sé stesso, a rivestire un effetto quasi negativo (in termini di qualità dell’offerta e dei contenuti) sul sistema televisivo.
Il discorso diventa ancora più cruciale se lo applichiamo al web. Tanto che oggi la dipendenza digitale è classificata come malattia (imbecillimento?).