Per amor delle orangerie, un lunedì di prima mattina in piena estate, sto andando ad ascoltare i sessantanovesimi Entretiens sur l’antiquité classique della Fondation Hardt. A Vandoeuvres, comune prestigioso della campagna ginevrina, le querce secolari predispongono lo spirito a tutto. In particolar modo a Chougny, toponimo esatto dove si trova la fondazione voluta negli anni Cinquanta da un barone errante, considerata oggi un po’ il CERN dell’antichità classica, la concentrazione di querce centenarie è unica in Svizzera.
Accarezzata dalla luce mattinale, dopo un centinaio di passi sulla ghiaietta al numero due del chemin Vert, lungo un vialetto costeggiato da rose, scorgo l’orangerie (480 m) della Fondation Hardt a Vandoeuvres. Il biancore della pietra calcarea, le linee arrotondate, il tocco, agli angoli curvilinei, dei mattoni rossi tipo Fiandre, colpiscono subito. A fianco, una serra monumentale con dentro due putti. Da un’altra angolatura, seduto su una panchina nel parco, alle otto e trentaquattro, mezz’oretta in anticipo sul convegno, nel silenzio da studiosi spezzato solo dal getto della fontana e dai cinguettii, assaporo con calma l’orangerie risalente al 1860.
Opera di Samuel Darier (1808-1884), architetto ingaggiato dai proprietari dell’epoca, la famiglia Périer-Ador. Il barone Kurd von Hardt (1889-1958), nato a Kassel e sepolto qui in giardino, tubercolotico a Davos, lunghi viaggi in Toscana e in Ticino dove abita nel decennio 1938-1948, nel 1950 compra questa tenuta, nota ai tempi come La Chandoleine, per il suo sogno da mecenate. Il cui cardine, dal 1952, è questo convegno di una settimana che riunisce i massimi specialisti al mondo di un certo soggetto. Il lavoro confluisce poi, alla fine, in un elegante tomo rilegato in tela blu e caratteri d’oro. Partendo da La notion du divin depuis Homère jusqu’à Platon, pescando a sentimento tra tutti i temi trattati, potreste leggere sul dorso, per esempio, titoli come Polybe, Le sacrifice dans l’antiquité, Le sanctuaire grec, Callimaque, Les jardins dans l’antiquité. Dal 2008, anno del restauro-adattamento in sala riunioni, è dentro l’ ex orangerie ora maculata dall’ombra proiettata dalle fronde di un vecchio frassino e con la quale sono già entrato in simbiosi, che i sette-otto specialisti prescelti, si sono ritrovati, assieme a un esiguo numero di uditori, a esporre i loro temi e scambiarsi vedute.
Cercando il bagno, nel sottosuolo dell’orangerie per eruditi, scopro una sala-cripta a volte, sostenuta da colonne. Una targhetta dorata, sulla porta, la definisce sala ipostila e indica a che punto qui siano intrippati con l’antichità. Un sorprendente cunicolo unisce l’orangerie alla serra. Alle nove del ventuno agosto iniziano i colloqui sul tema Gli spazi del sapere nell’antichità introdotti da Jean Terrier, ex archeologo cantonale ora presidente della fondazione. Colpo di scena, tragico: Raffaella Cribiore, eminente papirologa della Columbia University che aveva organizzato gli Entretiens di quest’anno, è morta annegata il tredici luglio a Finale Ligure. Ci alziamo (i sette studiosi seduti ai tavolini disposti a ferro di cavallo e gli altri presenti, tredici in tutto, tra presidenti, ex presidenti, uditori, pseudouditori come me, segretarie, bibliotecarie, console greco) in piedi per un minuto di silenzio. Viene letto un testo in memoria di Raffaella Cribiore, proiettata in un’immagine sul campo, intenta a decifrare, accovacciata in una cripta, alcune scritte funerarie.
Quattro ganci incomprensibili, sul tetto, attorno all’apertura zenitale. Daniel Anderson, co-organizzatore dei colloqui, inizia a esporre il suo testo intitolato Drama in the Classroom; Classrooms on Stage. Dalle grandi vetrate con gli angoli smussati, tre per facciata ma solo tre senza tende, entrano cielo, alberi, fiori. Eleanor Dickey, classicista americana, porta una maglietta a motivo ceramiche attiche a figure rosse. Capto solo qualche parola, ogni tanto; almeno non dormo, come uno in completo grigio, verso le dieci. Anche gli studiosi, comunque, alla proposta di una pausa caffè, mi sembrano risollevati. Lascio andare tutti dentro la villa e mi godo ancora un po’ in silenzio, l’orangerie da fuori. Dove vigilano arance verdi in vasi ricamati di terracotta. Degne di nota le dalie; nascosti si trovano anche dei pomodori marmande.