L'occhio tranquillo

/ 01.10.2018
di Paolo Di Stefano

Confondere tutto con tutto è uno dei vizi peggiori del nostro tempo. Alcuni saggi recenti lo confermano. La confusione e l’eccesso disorientante sono una nuova forma di censura. È quel che sostiene lo storico israeliano Yuval Noah Harari nelle sue 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani,5+): «In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere. La censura non opera bloccando il flusso di informazioni, ma inondando le persone di disinformazione e distrazioni». La disinformazione confonde il vero e il falso, il bello e il brutto, l’alto e il basso, la competenza e l’ignoranza, l’eleganza e la volgarità, il gusto e il disgusto, la sinistra e la destra, l’equilibrio e l’arbitrarietà, il rigore e la sciatteria, l’originale e il convenzionale, la letteratura e la Trivialliteratur, i capolavori dell’arte e le opere commerciali. 

«Grande è il disordine sotto il cielo» scrive Gino Roncaglia nel suo nuovo saggio L’età della frammentazione (Laterza, 5+), dove ci si chiede se le nuove generazioni riusciranno, come le precedenti, a costruire una loro «età delle cattedrali», fatta di contenuti complessi. E in che modo la scuola e la lettura possano aiutare questo sviluppo. Se tutto contribuisce a distrarci, la scuola dovrebbe aiutare i giovani a correggere la tendenza alla dispersione e guidarli nell’enorme quantità di risorse disponibili in rete. Selezionare è il verbo chiave, distinguere il grano dal loglio, cioè eliminare le erbacce. 

È per questo che all’inizio dell’anno scolastico dà un certo sollievo vedere tra le mani degli studenti un libro di testo cartaceo, da sfogliare alla vecchia maniera, nella convinzione che la forma-libro presenta vantaggi cognitivi, possibilità di concentrazione, di attenzione e di memoria che i tablet multimediali non garantiscono. Terzo consiglio di lettura saggistico è un libro di Maryanne Wolf, Lettore, vieni a casa (Vita e Pensiero).

Sarebbe un 6 tondo se non fosse troppo puntato sugli Stati Uniti, ma il 5½ premia l’ammirevole equilibro tra chiarezza e complessità: in forma di lettere rivolte al «caro lettore», la neuroscienziata spiega come e perché gli strumenti digitali incidono in quel capolavoro di adattabilità che è il cervello umano. Ciò che si guadagna e ciò che si perde: da una parte l’accesso universale al sapere, dall’altra il pensiero critico e l’immaginazione creativa. Difficile scegliere, ma è inevitabile: l’eccesso indistinto richiede criteri di scelta che solo una buona formazione può darti. E la formazione non può che provenire dalla scuola.

I genitori del tempo che fu dicevano: non parlare mentre mangi. Il principio per cui bisognava fare una cosa per volta si è trasformato nella libertà di fare tante cose insieme. «Mentre» è diventata la congiunzione del nostro tempo: mangio mentre guardo, guardo mentre chatto, chatto mentre parlo, parlo mentre leggo, leggo mentre gioco, gioco mentre rispondo, rispondo mentre chatto, chatto mentre studio, studio mentre clicco, clicco mentre parlo, eccetera, in tutte le possibili, infinite, combinazioni. L’unica attività che non permette di fare altro è dormire, ma non è escluso che tra poco si possa chattare anche dormendo. Non sono un nativo digitale, ma mentre scrivevo i paragrafi precedenti di questo articolo ho risposto a una decina di mail, a cinque whatsapp (una con video) e a un paio di telefonate, pur essendo fermo alla mia scrivania da un bel po’. 

Come può fare la scuola a imporre la concentrazione su un argomento (e uno solo) se il ragazzino, sin quasi dalla culla, è abituato a un’attenzione parziale distribuita in contemporanea su una molteplicità enorme di cose? «Non c’è il tempo, o l’impulso, per alimentare l’attività di un “occhio tranquillo”, e ancora meno per alimentare la memoria di quanto abbiamo raccolto», scrive la Wolf. Bella immagine, l’occhio tranquillo. Osservando i nostri figli cosiddetti nativi digitali, quasi mai vediamo occhi tranquilli, perché i loro occhi sono per metà spenti (fissi su un videogioco), per metà mobili o impazziti come palline da tennis. La tranquillità intesa in senso classico, cioè la tranquillità vigile e riflessiva, è rara.

Tutto ciò, avverte la Wolf, non può non avere conseguenze nel cervello. Pur considerando che i nostri figli e nipoti e bisnipoti faranno tesoro (nei modi più imprevedibili e si spera pure vantaggiosi) della cultura digitale, c’è una conoscenza che si può acquisire soltanto con la lettura «tranquilla» e profonda, l’unica attività in grado di attivare connessioni cerebrali fondamentali per la nostra capacità di pensiero. Non solo. La lettura di un racconto o di un romanzo, come avverte Martha Nussbaum in Coltivare l’umanità, ci cambia anche sul piano morale, permettendoci di vivere la vita di qualcun altro. Dunque, l’ultima raccomandazione della neuroscienziata è: «Investire nell’insegnamento della lettura per tutto il percorso scolastico». Con il doppio risultato di tranquillizzare l’occhio e coltivare umanità.