Lo studioso della mafia dice

/ 10.02.2020
di Ermanno Cavazzoni

Come sconfiggere la mafia? Il problema – ha detto un rinomato studioso di Palermo – è mal posto. La mafia è un sistema affaristico e di potere alternativo allo Stato parlamentare. Un giorno semplicemente la mafia si potrebbe sostituire allo Stato e ai partiti come sistema sociale legittimo. Sarebbe peggio? Non credo, ha scritto lo studioso.

Per prima cosa la mafia si ammorbidirebbe, non sarebbe più un sistema delinquenziale ma l’organizzazione accettata della pubblica amministrazione; abbandonerebbe il commercio di stupefacenti, che passerebbe in mano ai partiti, i quali, non avendo più finanziamenti statali, dovrebbero trovare il modo di sopravvivere; agirebbero nell’illegalità, i soldi li dovrebbero estorcere in cambio di promesse su un futuro migliore, con lo slogan «droga per tutti»; i partiti si spartirebbero il territorio per delinquere meglio, e fare proseliti. Non avendo più la televisione e i giornali come strumento di affermazione, passerebbero alle intimidazioni, e tutta la violenza verbale che si vede oggi, diventerebbe violenza fisica.

La mafia intanto si sarebbe spostata dalla minaccia alla persuasione: se ognuno paga il pizzo dovuto possiamo garantire più facilmente la sicurezza, la protezione, la viabilità, il decoro urbano, il verde pubblico, le scuole e così via. Ma i padrini intelligenti cercherebbero di farne una questione etica; direbbero: ognuno deve sentire la tangente o il pizzo come un dovere; infatti sarebbe meno costoso, niente sicari, armi, personale per la riscossione forzata, e quindi il pizzo sarebbe minore, l’economia crescerebbe.

Dell’apparato mafioso non si può fare a meno – direbbe il padrino – perché garantisce la convivenza civile, giudica torti e ragioni, emette sentenze, il che ha un costo. Il padrino stesso viene a costare, è necessario un appannaggio, per il suo ruolo di rappresentanza davanti agli altri sistemi mafiosi, per il decoro della famiglia, la sua funzione di legislatore ecc. I sicari di un tempo, per rispetto alla tradizione, manterranno il titolo di sicari, distinti in sicari di prima, seconda o terza fascia, ma di fatto saranno amministratori locali, che non ammazzeranno nessuno avendo la fiducia della popolazione. Infame sarà chiunque non paga il pizzo, preponendo il tornaconto privato al bene della mafia; o chi agisca per delegittimare l’autorità della mafia costituita.

Nelle questioni terminologiche resterà intatta la tradizione, e un articolo della legge mafiosa avrà questo motto: «tutti i quaquaraquà sono uguali di fronte alla mafia». Sarà infame anche chi dalla società mafiosa passerà alla militanza nel sistema occulto partitico. Come avviso di garanzia gli sarà recapitata una testa di pecora avvolta in un giornale, in modo che l’infame possa giustificarsi con una memoria difensiva. In caso contrario subirà la pena prevista: l’incendio del negozio, il danneggiamento dell’auto, cioè subirà un danno economico (equivalente all’ammenda); nei casi più gravi la perdita del lavoro e la latitanza, cioè l’infame per non essere preso, si nasconderà in una cantina o in una celletta ricavata sotto il pavimento, dove dovrà restare anche per anni, il che equivale al carcere nel vecchio sistema partitico, con la differenza che sarà volontario e più umano. Nel frattempo in clandestinità i partiti delinquono. La mafia cerca di individuare i segretari, i comitati centrali, il loro parlamento, dove i capi partito si incontrano, per spartirsi i proventi delle attività criminose.

Ma come si diventa funzionari di partito? Beh, bisogna mettersi in vista, con l’attivismo, una dose notevole di sfrontatezza, capacità di mentire, in certi casi partecipare a cortei dove si gridano slogan; nel caso danneggino auto, la mafia interviene; ma nei partiti è una benemerenza essere stati repressi, ad esempio col taglio di un orecchio o di un dito. I capi partito spesso si tradiscono con il colore blu delle auto, che sembra avere un significato iniziatico. Perché un individuo qualunque militerà in un partito? invece che essere un mafioso d’onore, rispettoso, pronto a pagare le dovute tangenti, ligio all’omertà? Beh – dice lo studioso – è una questione di testosterone; sembra che i capi partito giunti a un certo grado possano disporre di più femmine oltre la moglie, anche femmine prezzolate e consenzienti.

La mafia cerca di reprimere questo fenomeno criminale del sistema partitico, radicato in una mentalità, nell’idea che ci si debba raggruppare per opinione e dare battaglia alle altre opinioni, e non essere tutti uguali di fronte al padrino che provvede per il bene di tutti, senza pubblicità, senza ostentazione, non ce n’è bisogno, non è il padrino che si impone, è la folla degli uomini che crede in lui. La debolezza dei partiti sta nella guerra interna per quella cosa che chiamano nel loro gergo «poltrona». L’uomo è una pianta storta, neppure la mafia riuscirà a raddrizzarla, ha detto lo studioso (che dicono appartenente alla cupola).