L’istinto ribelle e la dedizione

/ 19.04.2021
di Paola Peduzzi

Il principe Filippo era sempre un passo indietro rispetto alla regina, sapeva stare al suo posto. Quando è morto a 99 anni, il 9 aprile scorso, a due mesi dal suo centesimo compleanno, i media mondiali hanno sottolineato questo del duca di Edimburgo: la capacità di interpretare il suo ruolo. Fosse stato una principessa, Filippo, probabilmente questi termini ci avrebbero infastidito. Avremmo pensato: è sminuente celebrare una persona perché sapeva stare al suo posto, come le statuine, come un pezzo d’arredamento. Cosa indicibile riguardo a una donna, viste le difficoltà che hanno le donne a trovare spazi, modi e toni.

Ma questa è la Corona reale britannica, istituzione che buona parte dei Paesi del Commonwealth vorrebbe abolire perché retaggio di un mondo che non esiste più, eppure modernissima perché ha dato una sua interpretazione alla parità di genere, senza increspature e rimorsi. Le donne fanno le regine, a casa Windsor. Anzi, voltandosi indietro, la monarchia britannica è essenzialmente donna: ricordiamo più le regine dei re. Oggi ci torna in mente l’inconsolabile regina Vittoria e il suo lutto perenne per il principe Alberto. Nel secolo scorso il re che ricordiamo è quello che re non rimase a lungo, Edoardo VIII, il quale rinunciò al trono e al potere per amore. Dal canto suo Elisabetta II è diventata la regina del secolo e Filippo il suo principe che ha imparato, non senza qualche conflitto, a stare al suo posto.

Filippo di Edimburgo rappresenta la storia politica e culturale del Novecento europeo. Lo strazio politico della fuga dalla Grecia, dove era nato ma dove non ebbe la possibilità di crescere perché la corona greco-danese fu bandita dopo la campagna greca della guerra di indipendenza turca. Filippo arrivò così a Parigi con i genitori e le sorelle. Da lì inizia una diaspora familiare che racconta i drammi europei di quell’epoca a cavallo delle due guerre mondiali e molti drammi personali. La madre schizofrenica, il padre con le sue amanti a Montecarlo, le sorelle che sposano nobili tedeschi che di lì a poco sarebbero diventati sostenitori dei nazisti (per questo al matrimonio di Filippo non sarebbero state invitate).

Filippo trova l’Inghilterra grazie allo zio Louis Mountbatten, primo governatore dell’India indipendente e poi ucciso in un attentato dell’Ira nord irlandese. Il Paese che lo avrebbe accolto e amato ha la faccia scura di una scuola in cui contano solo il rispetto e la disciplina. L’aria mediterranea a cui Filippo era abituato lascia il posto al fango, ai cieli grigi, alla solitudine soprattutto, quella che ha plasmato i primi 20 anni del futuro principe. Ma è anche la terra della battaglia per la libertà durante la Seconda guerra mondiale, la terra della Royal navy e della Royal air force, in cui Filippo trova una causa, una compagnia e infine Elisabetta, le lunghe lettere che si scrivevano e il matrimonio.

Ingrid Sewer ha scritto un libro notevole sul duca di Edimburgo, Prince Philip revealed. A differenza di molti altri autori e registi che hanno raccontato Filippo, Sewer ha iniziato a parlare direttamente con lui dagli anni Settanta. Dice che all’inizio è stato disastroso perché Filippo «fu molto maleducato con me», spesso lo era con altri, era irascibile e al contempo generoso, sensibile. Per trovare la sintesi tra questo istinto ribelle, di uno che aveva attraversato l’Europa delle guerre senza una patria, principe apolide con una famiglia in disarmo e il ruolo istituzionale di consorte, di padre e di rappresentate della monarchia, Filippo ha faticato molto. Lo racconta Sewer, lo raccontano i film e le serie televisive che, pur con molte imprecisioni, immortalano un uomo che misura e interpreta quel passo indietro cui la vita reale lo ha destinato. E la cosa meravigliosa di Filippo è che è riuscito a fare tutto senza doversi mai confessare con qualche giornalista o confidente pettegolo: ci sono le sue celebri gaffe, pubbliche e spesso comiche, ma non ci sono sue dichiarazioni familiari scandalose né lagnose. Scriveva molte lettere, amava dipingere e disegnare gioielli, conosceva tutte le razze di uccelli al mondo. Proteggeva ma sapeva essere anche brutale con i suoi familiari.

Intuì che, tra i tanti equilibri che andava cercando, ne andava trovato uno tra la monarchia e il mondo che fuori cambiava e chiedeva uno sguardo più attento a quei reali che sono da sempre attrazione e sconforto insieme per il pubblico inglese. Il suo posto era quello, come disse Elisabetta in occasione delle loro nozze d’oro, definendo Filippo «my strenght and stay», la mia forza e la dedizione, la solidità e la presenza, la misura esatta di un passo indietro che dava spazio alla regina, ma non l’ha fatta sentire sola. Che è quello che i popoli chiedono a chi li governa.