L’ultima isola possibile sul lago di Zurigo l’avevo avvistata la prima volta, con estrema gioia, in treno verso Landquart anni fa. Rivista di sfuggita non mi ricordo più quando, sempre dal treno, l’ho acciuffata di nuovo con lo sguardo poco tempo fa, in viaggio per trovare l’isolina del Walensee. Location del finale concitato di un Tatort – il millecentonovantatreesimo episodio della serie poliziesca tedesca nata negli anni settanta seguita da milioni di telespettatori – andato in onda la sera del tredici marzo di quest’anno, l’isoletta Schönenwirt che ho ora nel mirino, camminando sul lungolago appena sceso alla stazione di Richterswil, nel 1667 appare sulla carta Gyger. Nell’opera di Hans Conrad Gyger (1599-1674), considerata un capolavoro della rappresentazione topografica, la si scopre sproporzionata, ovale, ombreggiata a modo e segnata come Schönen Weerd. Per un attimo apparentemente olandese, in realtà, per secoli è meglio nota come Schönenwerd: isola (Werd) bella. Tranne qui a Richterswil, comune al quale appartiene dal 1848, dove da sempre è conosciuta come Schönenwirt. E a furia di chiamarla così, con questo toponimo per metà oste (Wirt), l’isoletta che mi ritrovo adesso davanti, è segnata anche sulle carte ufficiali, a partire dagli anni cinquanta circa, come Schönenwirt.
Mi tuffo nel lago a fianco delle rotaie, oltre le quali, sulla collina, è pieno di case e appartamenti vista isoletta. L’acqua è ventun gradi, gradevole rispetto a fuori che sono dieci. Sulla mia rotta, un pescatore in barca è tutto intabarrato nel suo anorak. Forse, penso nuotando, nella particella di toponimo mutata da isola a oste, c’entra la storia dell’isola-osteria. Secondo una leggenda, raccontata da ubriaconi morti da tempo in bettole scomparse, c’era una volta sull’isola, molto più grande di adesso, forse proprio come l’aveva rappresentata Gyger, un’osteria allegra e depravata. Dopo una notte tempestosa, l’osteria (Wirtshaus) era sparita e l’isoletta Schönewirt (409 m), dove metto piede adesso, uno dei primi giorni di autunno prima di pranzo, rimpicciolita. Appena salito sul pontile, a fianco del quale s’innalza un bel muro di sostegno con una nicchia vuota, tiro fuori in fretta i vestiti dal mio sacco lacustre impermeabile. Mi rivesto e parto in esplorazione dell’isola di sei are e mezzo.
Meta balneare estiva di nuotatori, festaioli in barchetta, poeti locali, ornitologi bulgari, stamattina non c’è anima viva. Molti canneti, diverse panchine, alcuni tavoli, un ippocastano. All’ombra del quale raccolgo una castagna che mi metto in tasca per evitare un eventuale raffreddore. Per vitamine, antocianine e flavonoidi, mi allungo a raccogliere le bacche di sambuco. Nel 1912, oltre al Sambucus nigra e all’Aesculus hippocastanum, il professor Walter Höhn-Ochsner, autore di Pflanzen in Zürcher Mundart und Volksleben (1986), conta qui diciotto altre varietà di alberi, quattordici specie di graminacee, una quarantina di erbe e fiori. Dopo una tempesta negli anni venti, la flora dell’unica vera isola del canton Zurigo, al confine con il canton Svitto, è diminuita. Numerosi ceppi di vecchi alberi qua e là. All’estremità nord-est, nove scalini in pietra scendono nel lago che qui pare più tropicale. Un alone attorno azzurrino chiaro e trasparente, tipo atollo. Cerco laggiù la Lützelau e l’Ufenau ma il taglio dell’insenatura le toglie dalla vista. Degni di nota, i due spogliatoi ottagonali novecenteschi in legno e tetto di coppi. Uno a fianco all’altro, come due torri di guardia tra i canneti, sono forse il segno più caratteristico della Schönenwirt: ultima puntata del feuilleton sulle isolette minori elvetiche.
Entro in quello degli uomini: ragnatela con ragno, splendidi ganci arrugginiti, finestra vista lago, scritte varie tra le quali una inneggia a Ozzy Osbourne, un’altra vaneggia qualcosa riguardo a un gruppo brasiliano di death metal formatosi nel 1984 a Belo Horizonte. Sotto l’elogio dei Sepoltura, trovo poi una litania di amici in penna biro blu: Kaspar, Jano, Thea, Basil, Corinne, Beat. Nello spogliatoio femminile ci sono alcune considerazioni su Andrej con un «hahaha» conclusivo, qualcosa su uno morto qui e la presenza dello spirito dell’isola. Non resisto a fare ancora un bagno da questa parte, nell’acqua più caraibica. Più tardi, sotto l’ippocastano, per picnic, pumpernickel spalmati di guacamole.