L’isola Lützelau

/ 12.09.2022
di Oliver Scharpf

Sul lago di Zurigo, millecinquecento metri al largo di Rapperswil, c’è l’isola-camping. Non dormo in tenda dall’interrail del 1995 in Scandinavia. Isola di Gotland, sulla via del ritorno, camping selvaggio sulla spiaggia: sabbia chiara, finissima, luce baltica, birra a fiumi, biondine. A metà pomeriggio del primo settembre sbarco sull’isola. Lützelau (407 m): sorellina dell’Ufenau, la più grande isola svizzera, rispetto alla quale trae il nome (in tedesco antico Lützelau significa piccola isola) e perlustrata nel luglio di otto anni fa. Tre ettari e mezzo di isoletta, sul territorio del Canton Svitto, divisa tra camping e riserva naturale. Il tipo del bar-ristorante mi consiglia di accamparmi nella parte sud, più tranquilla e soprattutto per via del tramonto. Mi dirigo da quella parte, oltrepassando un tot di grandi tende tristi, lì fisse per tutta l’estate. Alcune, nel bosco, sono quasi case-baracche con il barbecue ultimo modello.

Trovo una radura solitaria, in una piccola insenatura, con accesso esclusivo al lago. Il terreno è umido, un po’ fangoso e ricoperto di frammenti di conchigliette bianche. Frammenti di ceramiche dell’età del bronzo, qui vicino, sono state dissotterrate nel 1964. Durante quegli scavi archeologici viene alla luce anche una piccola chiesa ad aula unica, con coro rettangolare. Disfo la tenda, modello Akto verde foresta appena presa per l’occasione e la monto per la prima volta. Invece dei cinque minuti previsti ci metto non so quanto, forse circa un’ora, guardando, oltre il libretto delle istruzioni, un video ufficiale della Hilleberg su youtube che con la sua musichetta di sottofondo mi ha mandato, più volte, in tilt. Akto, nella lingua sami usata in Lapponia, vuole dire «solo» ed è nata, guarda caso, proprio nel 1995, in Svezia (epoca e luogo della mia ultima notte in tenda). Resiste, pare, alle tempeste. Per ora per me è già un miracolo che stia lì, in piedi, sotto una quercia.

Sorseggio una tazza di verbena e mi faccio un bagno. Dal lago noto un sacco di cormorani appollaiati sugli ontani. Mi sorge il dubbio di aver montato la tenda un po’ troppo vicino alla zona protetta, piena di uccelli stercorari. Nuotando spunta l’Ufenau, la sorella maggiore più bella e famosa con quel prato dall’aria inglese e la chiesa dal campanile a toblerone. Un convento femminile, dicono, c’era qui sull’«insola minore», come veniva menzionata nel 741 in uno scritto dell’Abbazia di San Gallo. Non ne è rimasta traccia. Nessuna altra tenda, finora, in questa zona. A piedi nudi esploro l’isola e trovo un gruppetto di tende montate nella zona vicino al molo, tra i canneti, appena dietro il ristorante-bar. Stasera suona un gruppo di Wetzikon, speriamo non fino a tardi. Cena presto, in riva al lago: pommes frites e torta di carote. Mi fa compagnia un’anitra con cui condivido il pasto spensierato. Alle otto sono già sottocoperta. Nella mia tana leggo Capri, materiali per una descrizione dell’isola (1930) di Norman Douglas. Il tramonto, a oltranza, però, riesce a stanarmi. E faccio un altro bagno, risolutore. Ritorno nella mia akto, più comoda (anche grazie al materassino gonfiabile Therm-a-rest) e meno claustrofobica del previsto: una parte, arrotolando la tenda in due punti, fa entrare uno spicchio di paesaggio lacustre. E così mi gusto il lago finché c’è luce ma anche dopo, con le luci tremule sulla costa svittese e quelle felliniane delle grandi navi nella sera.

Il tipo del camping aveva ragione, qui, lo strimpellare delle canzoni in svizzerotedesco, arriva flebile. In compenso, tra rimasugli di tramonto verso fine estate e l’imbrunire, sento forte lo squittìo di topi e strida strane di anatidi o cos’altro. Zanzare zero, qualche nerc gira. Sonno profondo, a tappe, senza sogni capresi. Al risveglio, diverse anitre nuotano e s’immergono comiche a testa in giù. Il loro starnazzare stordente mi mette di buon umore e vado a cercare legnetti per il mio fornellino da campo. Accendo il fuoco, metto su la moka. Per l’occasione – una colazione al risveglio di una notte in tenda dopo ventisette anni – mi sono portato del caffè Jamaica Blue Mountain macinato ieri da Schwarzenbach a Zurigo. La moka gorgoglia, l’aria fresca del mattino di buon’ora, su un’isoletta lacustre, ritempra lo spirito. Ridormirei in tenda anche stanotte. La costa è avvolta dalla bruma, cade una ghianda, l’avvicinarsi di un’anitra.