Il doppio campanile barocco dell’isola, spicca già da lontano, arrivando a Rheinau. Paesino agreste di milletrecento anime del canton Zurigo a pochi chilometri da Sciaffusa, posizionato in una protuberanza di Svizzera a forma di fagiolo o paragonabile a quei lembi arrotondati dei pezzi sporgenti di puzzle. Ghiribizzo topografico per via del Reno che qui – segnando i confini con la Germania – compie una peripezia da circuito di formula uno. Un’ansa doppia disegna l’esigua penisola dove cammino pigro e subito si fanno nota-re le case a graticcio color sciroppo di lamponi. Un salmone d’argento in volo, su sfondo blu, è lo stemma comunale che sancisce il legame ancestrale con il Reno. Il ponte, in prossimità della cinquecentesca cantina vinicola della città di Zurigo, leva un po’ l’incanto del distacco insulare autentico. I draghi-gargolle in cima ai campanili gemelli, catturano l’attenzione ma vengono sorpassati a livello di stupore, sopra ai parafulmini delle due cupole a cipolla, da due angeli d’oro strombazzanti.
Al cospetto della chiesa abbaziale pianificata dall’architetto voralberghese Franz Beer (1659-1726), tre gigantesche sequoie bicentenarie s’impongono sui campanili che veleggiavano gloriosi in lontananza. Intorno a quella con il girovita forse più impressionante, c’è una meritoria panchina circolare. Ma a meravigliare lo sguardo, un primo pomeriggio a fine maggio sull’isola di Rheinau (358 m) – un tempo abbaziale per secoli poi psichiatrica e oggi musicale – sono tre tigli di un certa età in riva al Reno. All’ombra dei quali, due panchine sono possibilità di tregua dal mondo. Prati lasciati crescere, per una volta tanto, a loro agio, ondeggiano fioriti nel vento. Margherite quante ne volete, qualche fiordaliso stoppione, e l’irrinunciabile Salvia pratensis. All’orizzonte, nuvole fiamminghe nel cielo azzurro chiaro stemperato. Il Reno scorre calmo. Alle spalle della chiesa ecco l’ex abbazia benedettina diventata poi, dal 1867 al 2000, clinica psichiatrica. Il direttore, tra il 1886 e 1898, è stato Eugen Bleuler (1857-1939): psichiatra nato e morto a Zollikon noto al mondo per aver coniato il termine schizofrenia.
La musica sembra essere, da qualche anno, in quelle stanze e saloni, la nuova vocazione dell’isola: sale-prova all’avanguardia orientate verso le rive boschive e inabitate del Reno, stanze d’hotel per musicisti, l’antico refettorio ristrutturato per pasti d’orchestra. Da sempre chiamata Klosterinsel ora si prova a chiamarla Musikinsel, per me rimane solo un’isoletta di tre ettari e mezzo sul Reno. Trovata citata di sfuggita in uno scritto sull’Es dello psicoanalista selvaggio Georg Groddeck come esempio, oltre a Mainau sul lago di Costanza, per Au che significa «isola, isolotto, terra circondata dall’acqua». Incontro quattro betulle; lì di fronte, vicino a una chiesetta, su una lapide sono scolpiti tre nomi di donna: Sophie Rimathé von Waldkirch, le figlie Emma e Sophie. Lavoravano tutte nella clinica, alla quale dovevano essere affezionate per essere sepolte qui. Attorno ai nomi, è cesellata una corona di foglie di pungitopo.
La chiesa interreligiosa St. Magdalena si trova sulla punta orientale dell’isola fluviale che sembra un veliero attraccato. La prua corrisponde al coro che aggiro lungo un sentiero erboso e tra le fronde, si svela un’acqua insospettatamente smeraldo-turchina e limpida. Un salto in chiesa per accendere due cerini. Accanto a una quarta sequoia e la Haus der Stille dove, da due anni, vivono alcune suore, c’è un roseto di tutto rispetto. Mi chino ad annusare il profumo di alcune rose. Una bianca, si chiama Via Mala. Nella grande chiesa del convento, fondato nel 778, dove sono custodite tra le altre cose, le reliquie del monaco eremita irlandese San Fintano che si fece murare qui come recluso fino alla morte, esplode l’opulenza di un iperbarocco pazzesco al limite del circo. Alzando lo sguardo al cielo, si vedono gli affreschi di Francesco Antonio Giorgioli (1655-1725) di Meride. Una coupe Romanoff in riva al Reno, all’ombra dei platani, completa il giro. A poppa, si vedono i vigneti scendere verso il fiume. In quella direzione, controcorrente, in un paio di ore a piedi, si arriva alle famose cascate del Reno. Si passa dall’«Amazzonia renana» come hanno ribattezzato, per attirare turisti sui battelli-crociera Rheinau-Rheinfall o viceversa, i boschi selvaggi fluviali. Secondo una leggenda, un ricco gentiluomo-pescatore di salmoni addormentatosi a metà pomeriggio finisce nel fiume e sopravvivendo chissà come all’impeto delle cascate, approda qui, aggrappandosi stremato all’isola vergine. Per grazia ricevuta decide così di fondare un convento. Si racconta anche che uno dei pazienti più inquieti dell’isola, ai tempi, avesse inventato la radio prima di tutti.
Rinuncio a una delle due invitanti panchine ai piedi dei due Tilia cordata secolari, per sdraiarmi all’ombra del terzo grande tiglio senza panchina. Nel prato, tra l’erba alta, a fianco del Reno che scorre impercettibile. Una coppia in kayak passa via con a bordo della tipa una coppia di cani. A ciascuno il suo hobby o le sue passioni, io ultimamente, a parte lo studio di isolette elvetiche e le fragole, mi dedico molto alla siesta.