Il Walensee, per tre quarti canton San Gallo e un quarto Glarona, sembra un po’ un fiordo norvegese. Longilineo, stretto tra le montagne, le sue acque ispirarono a Liszt il pezzo per pianoforte Au lac de Wallenstadt (1835) e ospitano, sui suoi fondali, una tonnellata di mitragliatrici tedesche MG 42 gettate dall’esercito svizzero nel 1951. Al lago di Walenstadt – dopo il treno fino alla stazione di Walenstadt e un tratto, a ritroso, sul bus quattrocentoquarantaquattro – ci arrivo a piedi da Mols. Cinquecento anime circa, dal 1803 parte del comune di Quarten, per settimane, in inverno, è senza sole tutto il giorno, tanto da risultare la località più in ombra della Svizzera orientale. Da una spiaggia sassosa, a trecentocinquanta metri da riva, posso studiare piuttosto bene, lì in faccia, in pieno sole, la mia isola. Smilza, il verdino dei suoi alberi – tra i quali uno ingiallito precocemente per la siccità – si staglia contro il turchese scuro del lago e il verde conifera sullo sfondo, sopra il quale prevalgono falesie rocciose. Nel toponimo della Schnittlauchinsel, conosciuta nei dintorni dagli ombrosi bevitori mattinali di birra e lettori del «Blick» solo con il diminutivo di Inseli, vale a dire isolina (o forse meglio isoletta per evitare la rima), si ritrova l’erba cipollina.
Spontaneo pensare alla presenza di erba cipollina sull’isoletta, mentre alcuni dicono si chiami così perché quando il livello dell’acqua sommerge l’isola, gli alberi spuntano come erba cipollina. Nessuno la chiama utilizzando il suo altro nome che accomuna diverse altre isolette, tra le quali quella in mezzo a un laghetto barocco del parco Karlsaue a Kassel: Schwaneninsel, isola dei cigni. Un cigno veleggia svagato. Mica kayak né canoa, oggi a nuoto. Ficco lo zaino con i viveri nel sacco fluviale e parto tranquillo a rana. Il sacco impermeabile blu capri, agganciato alla pancia, mi segue come un cagnolino. Avvisto uno con il solito stand up paddle – una pandemia ormai, sui laghi (ma sempre meglio della piaga imbecille degli atroci monopattini elettrici) – con legato dietro un canotto. Nel canotto c’è la sua tipa che legge un libro. In fondo, forse, si tratta anche questa di una fuga d’amore come quella di Marie d’Agoult e il suo Franz, nell’estate del 1835, in barchetta a remi, su questo lago color pavone. «Franz lì compose, per me, una melanconica armonia imitativa dei sospiri dei flutti e la cadenza dei remi che non ho mai potuto ascoltare senza piangere» annotava la contessa d’Agoult, a proposito del noto andante placido di Liszt, nei suoi taccuini di viaggio.
Il mio viaggio a rana, dopo diciannove minuti circa, senza echi lisztiani né riverberi di mitragliatrici sommerse, giunge al termine. Approdo così, sacco fluviale in spalla, sugli scogli frastagliati dell’Isola dell’erba cipollina (421 m) verso la fine di agosto a mezzogiorno. Di fronte si staglia la caratteristica catena calcarea Churfirsten, vette come denti, una la chiamano Birsi. Sulla sponda opposta, dove tutto un altro clima rispetto a Mols permette a kiwi e palme di crescere, si nota uno squarcio nella montagna: è la miniera abbandonata di calcare estratto per farne calce per il cemento tipo Portland. M’inoltro, adagio per via delle rocce tormentate e inospitali, dentro l’isola. Tra rovi e rocce corrucciate, nel fitto del boschetto, su un palo, trovo una bucalettere americana. Verde bottiglia, metallica, si apre in verticale. Ci sono due biglietti, una busta marroncina, una piuma di cigno. Su un biglietto, con grafia infantile, due sorelline di Gossau desidererebbero avere una corrispondenza epistolare: «scriveteci» invocano Anita e Katja. Su un altro biglietto, con grafia ondeggiante, la piccola Marta scrive che sono arrivati sull’isola in canotto. Nella busta c’è un indovinello che fa ridere i polli e dunque ve lo risparmio, firmato Viktoria. Isolina per bambine, pare. Su un bastone, infilata a testa in giù, c’è un’antica bottiglia vuota. Isoletta fatta alla sua maniera: messaggi senza bottiglia, bottiglia senza messaggio. Di erba cipollina neanche l’ombra. Alla fine, per me, questa isoletta bambina potrebbe chiamarsi così per la sua filiformità. Sugli scogli cubisti della punta est mi dedico a un’insalata greca. Come dessert c’è un budino rosa a base di mirtilli rossi selvatici raccolti l’altro giorno in Leventina, una ricetta finlandese.