Ricordo quando andavo in giro con uno o due amici delle elementari, da una casa all’altra, suonando con timidezza il campanello, per vendere i talleri d’oro. Li portavamo in una scatola al collo e alcuni ne compravano un paio anche per noi che appena girato l’angolo, scartavamo subito con gioia la stagnola dorata del tallero di cioccolato. La storia del tallero d’oro incomincia nel 1946 per salvare il lago di Sils. Idea di Pro Natura ed Heimatschutz che grazie a ottocentoventitremilaquattrocentoventi talleri d’oro, riescono a scacciare l’incubo di una centrale idroelettrica. Meno male, ma camminando tra i larici lungo il lago di Sils a quest’ora increspato dal vento, penso che neanche a un cinghiale verrebbe mai in mente di rovinare questo paesaggio che spesso scombussola quasi per la troppa bellezza. Per questo forse, «qui dove Italia e Finlandia si sono strette in alleanza» come scrive Nietzsche in Umano, troppo umano (1878), pochi fanno caso se sul lago ci sia un’isoletta o meno. Io, invece, senza questa isoletta che sembra chiamarsi come un terzinaccio spagnolo spaccagambe, oggi non saprei che farmene di questo paesaggio quasi troppo paradisiaco la cui luce mutevole strega anche le mucche in riva al lago.
Chaviolas si trova tra Sils Maria e Isola: un pugno di case – antiche stalle e fienili per l’estivazione dei contadini di Stampa oggi in gran parte ristrutturate, per una volta tanto, come Dio comanda – isolate a ridosso di una torbiera in un angolo del lago dove arrivo ora a piedi da Maloja. Ultimo pezzo di Bregaglia prima dell’Engadina: un miraggio, con la marea di rosa panna stordente della Persicaria bistorta a perdita d’occhio. Non posso non fermarmi a uno dei tavolini fuori del ristorante-hotel Lagrev per un caffè e una torta di mirtilli con il sole in faccia. Con Isola già nel cuore non solo per il toponimo, mi rimetto in cammino. Fino a rimanere senza fiato, su un promontorio, vedendo lì davanti, in uno squarcio di bosco, l’isola verde scuro sul lago smeraldo con lo sfondo laggiù del verdino alta montagna frammisto a roccia che a percorrerlo con gli occhi si arriva su fino al Piz Lagrev. Verso le cinque, in balìa delle onde e del vento incessante, incagliato tra gli scogli, il capitano Franco Giani balza a bordo della barca a remi noleggiata cinque minuti fa. Mi salva da una deriva certa se prendevo il largo. Un imbranato che è andato una volta sola in barca a remi, per farla breve, ha fatto il passo più lungo della gamba. Ha prevalso l’incoscente desiderio d’isola.
«Vieni domani verso le nove e mezza dieci che ce la fai, il lago è piatto, il vento si alza verso mezzogiorno l’una» mi fa il capitano Franco. Da cinquantunanni al comando del suo battello che da metà giugno a metà ottobre, quattro volte al giorno, fa il giro del lago: Sils Maria, Chastè, Plaun da Lej, Isola, Maloja. Nella rimessa dove il suo vapurin va in letargo mentre lui sverna sul Lario, c’è appesa un po’ la storia della famiglia Giani sul lago di Sils – raccolta dalla figlia Francesca che ha studiato filosofia – iniziata dal bisnonno Luigi venuto a fine Ottocento dal lago di Como. Il quale portava in giro Nietzsche in barca. Il giorno dopo, al mattino presto il lago è liscio come l’olio, un pescatore rema sereno. Poi però verso le dieci già mi sembra un po’ mosso. «Eh con questa onda qua è dura» mi dice il capitano. «Si è alzato due ore prima del previsto» aggiunge. Sedici gradi non è freddissima per andarci a nuoto, ma è la distanza che mi preoccupa. Raggiungerla in windsurf sarebbe l’ideale magari. Alla fine mi porta il Capitano. Appuntamento all’una, per le due dobbiamo essere di ritorno perché deve salpare con il suo vapurin che dal 1907 è la linea nautica più elevata d’Europa. Mi siedo in fondo alla barca azzurra di nome Lessj – come il nome engadinizzato del famoso rough collie televisivo ma non credo sia così però non chiedo niente per rimanere con quest’idea in testa – che il Capitano spinge piano in acqua. E salta su mettendosi in mezzo. Rema fino a piegarsi indietro con la schiena, solo così riesce a cavalcare le onde. Inclinazione sportiva, ritmo, piega del remo. «È dura» mi fa. E per me, ancora prima di arrivare all’isola sul territorio di Sils che sembra non interessare a nessuno, è il mio eroe del giorno. Anche di domani, va.
Il Capitano senza età con tanto di cappello bianco come in Love Boat, ha vinto la breva del Maloja e lascia scivolare la barca in una insenatura finché si spiaggia con naturalezza. Balzo fuori e perlustro, un primo pomeriggio di luglio, l’isola Chaviolas (1807 m). Prevale il cembro, qualche peccio c’è anche, un paio di larici non mancano. Spunta il rosa sgargiante della Rosa pendulina, scovo i fiori estrosi gialli della Gentiana lutea, in tinta con il papavero alpino che mi lascia di stucco. Conto tre uova appena schiuse di non so che uccello. All’estremità sud, scorgo bene l’isolotto senza nome e giù in fondo, spunta la torre Belvedere, sogno naufragato del conte belga Camille de Renesse di un castello mai realizzato. Un cervo una volta, è stato visto pattinare sul lago ghiacciato fino a quest’isola di tremilaquattrocento metri quadrati e rimanerci fino all’inverno successivo. Torna a casa Lessj. «E solo quando voi tutti mi avrete rinnegato, tornerò tra voi» disse Zarathustra. Itaca, mi viene in mente per un attimo l’isola omerica dell’eterno ritorno. Un mio amico, quando gli ho detto il mio traguardo di viaggio, quest’isoletta d’altura l’ha soprannominata «Cifolas».