La pubblicità genera sentimenti d’invidia? Lo scrittore John Berger in un libro dedicato al guardare (Questioni di sguardi, il Saggiatore) scrive che nel mondo moderno la pubblicità funziona attraverso l’invidia: essere invidiati dagli altri. Di più: rende le persone invidiose di sé stesse, di ciò che potranno essere attraverso l’acquisto di quel medesimo prodotto, una forma di reificazione di sé. La pubblicità non parla infatti di oggetti, bensì di relazioni sociali, non offre piacere, ma felicità misurata dall’esterno, sul metro di giudizio degli altri. Il motore della pubblicità e della moda è la fascinazione prodotta dall’invidia. Insomma, corriamo il rischio che un sentimento disdicevole diventi uno dei motori del processo di cambiamento sociale.
Ma che cos’è l’invidia? Uno studioso della psiche umana risponderebbe: L’invidia (dal latino invidere, “guardare biecamente”, composto di in-, negativo, e videre) è uno stato emotivo in cui, in relazione a un bene altrui, si prova una profonda astiosità. I vantaggi materiali e le condizioni di vita di cui un’altra persona gode possono suscitare nell’invidioso un risentimento tale da fargli desiderare il male del fortunato rivale. Dunque, l’invidia è un’emozione complessa che deriva da un confronto sociale, è un misto di turbamenti: la tristezza per non essere come si vorrebbe e la rabbia nei confronti di chi ci mette nelle condizioni di sentirci perdenti. Nella cultura popolare è associata al “malocchio”, il potere di danneggiare gli altri attraverso lo sguardo. Le azioni a cui spinge l’invidia (agite o fantasticate) hanno proprio questa funzione: colpire l’altro per ripristinare uno stato di uguaglianza.
Nel libro, Il gioco dell’angelo, lo scrittore Carlos Ruiz Zafón scrive: «L'invidia è la religione dei mediocri. Li consola, risponde alle inquietudini che li divorano e, in ultima istanza, imputridisce le loro anime e consente di giustificare la loro grettezza e la loro avidità fino a credere che siano virtù e che le porte del cielo si spalancheranno solo per gli infelici come loro, che attraversano la vita senza lasciare altra traccia se non i loro sleali tentativi di sminuire gli altri e di escludere, e se possibile distruggere, chi, per il semplice fatto di esistere e di essere ciò che è, mette in risalto la loro povertà di spirito, di mente e di fegato».
Secondo il filosofo Slavoj Žižek l’invidia è qualcosa di più, o di meno, del desiderio di possedere quello che ha l’altro - ricchezza, amore, potere -; è qualcosa di negativo: impedire all’altro quel possesso. Il filosofo sloveno racconta una storiella significativa. Una strega dice a un contadino: «Farò a te quello che vuoi, ma ti avverto, farò due volte la stessa cosa al tuo vicino!». E il contadino con un sorriso furbo le risponde: «Prendimi un occhio!».
L'invidia è oggi considerata un peccato sociale, più grave della gelosia stimata invece un peccato veniale, una sorta di sgradevole accompagnamento della passione. Come ci ricorda Massimiliano Sardina in Lo sguardo Obliquo. Breve storia dell’invidia, «all’Invidia “positiva” motore della competizione naturale si contrappone l’Invidia “negativa”, quella che Cervantes nel Don Chisciotte associa al “verme roditore”. Sale e veleno delle relazioni umane l’Invidia sfugge a una definizione univoca e si caratterizza in un’infinità di sfumature, tutte rigorosamente (come tradizione vuole) nei toni del verde; l’espressione popolare ricorrente “verde d’invidia” si riferisce infatti alla cromia biliosa di quella passione trista che divora il fegato e secerne umori veleniferi. Si veda a tal riguardo l’allegoria giottesca nella Cappella Scrovegni di Padova: qui l’Invidia assume le fattezze di una brutta megera dalla cui bocca fuoriesce una lingua a guisa di serpe che inarcandosi le sputa il veleno dritto negli occhi; l’Invidia prima o poi si ritorce sempre contro chi la nutre e la esercita (e di qui l’altra celebre espressione popolare: “crepare d’invidia”)».
È giocoforza che questo vizio appartenga alla letteratura morale sia classica sia cristiana, a partire dalle stesse Scritture Sacre (chi non ricorda la gelosia accecante di Saul nei confronti di Davide?), per giungere ai Padri della Chiesa, prima di approdare a un’immensa tipologia letteraria (per tutti pensiamo a Dante e al suo secondo girone del Purgatorio dedicato proprio agli invidiosi o all’invincibile gelosia dell’Otello shakespeariano e verdiano). Secondo il racconto della Bibbia, l’invidia nasce a partire dallo scontro primigenio tra Caino e Abele. Sono fratelli, ma allo stesso tempo sono due mondi culturali completamente diversi. E a quel tempo non c’era la pubblicità.