L’insediamento abitativo Halen

/ 09.05.2022
di Oliver Scharpf

Non c’è miglior momento, in tutta la primavera, per una passeggiatina brutalista. Il beton ora è abbellito dal verde della vegetazione appena rinata e cinguettii a gogo allietano ogni passo. Come adesso domenica primo maggio, salendo a tarda mattina i gradoni tra i primi due blocchi di case della Siedlung Halen (518 m). Insediamento abitativo in una radura boschiva a cinque chilometri da Berna costruito, tra 1955 e 1961, secondo i piani dell’Atelier 5. Studio di architettura fondato nel maggio 1955 da cinque giovani seguaci di Le Corbusier: Erwin Fritz (1927-1992), Samuel Gerber (1932-1998), Rolf Hesterberg (1927-2013), Hans Hostettler, classe 1925, Alfredo Pini (1932-2015); ai quali si aggiungono, pochi anni dopo, Niklaus Morgenthaler (1918-2001) e Fritz Thormann, classe 1930, e poi altri ancora negli anni seguenti. Il verde spunta selvaggio dalle mura in beton a vista slavate, le case si nascondono bene, i cinguettii sono più numerosi del previsto per via del bosco vicinissimo, la prospettiva di questo spazio in salita tra le case con gradoni e lampioni ricorda una casbah. Sbuco nella piazza dove c’è un negozietto, chiuso, oggi. Scorgo, in vetrina, un libro dedicato a questo luogo: Siedlung Halen (2010) di autori vari e il cui sottotitolo è Meilenstein moderner Siedlungsarchitektur.

Da un casa di questa «pietra miliare della Siedlungsarchitektur moderna» esce un vecchio con dei baffoni da sceriffo. A piedi nudi cammina pigro sull’asfalto e si siede qui vicino al negozietto, al sole. Riprende la lettura di un libro. Potrebbe starsene nel suo giardino o a letto, invece si trova meglio interagendo nello spazio comune dove delle bambine, forse le nipotine, giocano soffiando i denti di leone. «Pianifichiamo contro l’isolamento» asseriva l’Atelier 5. Il baffone, in giro a Herrenschwanden, frazione del comune di Kirlindach, a piedi nudi come al mare, è uno dell’Atelier 5 che ha lavorato a questo «celebratissimo progetto»: come lo definisce Antonio Saggio in un testo uscito sul mensile «Domus». È Fritz Thormann: da una vita abita qui nella casa cinquantatré. «Schön» dice a una bambina che gli porta un mazzo di soffioni. Accarezzo un bel gattone color crema e continuo il mio giro tra i filari di case a schiera che s’innestano nel pendio verso il bosco. Prima però chiedo, alla bambina, il nome del gatto. «Hugo» mi fa tutta contenta del mio interesse.

Incantevoli le strisce di terra tra il calcestruzzo – lungo il percorso, fuori dalle case – coltivate il più possibile con erbe aromatiche e fiori ma al contempo lasciate a disposizione di edera terrestre e alcune splendide erbacce. In un angolo scopro persino giacinti dei boschi arrivati per caso. Una sbirciata profonda coglie il bel patio che introduce ognuna delle settantanove case, suddivise in cinque blocchi. Risalgo quello che porta al bosco e becco finalmente uno degli iconici balconcini bucherellati a scacchiera: omaggio a quelli divorati con gli occhi un’estate anni fa visitando La Cité radieuse (1952) a Marsiglia. Unità d’abitazione seminale inarrivabile di Le Corbusier alla quale, oltre al progetto irrealizzato di Roq et Rob (1949) a Roquebrune-Cap-Martin, si è ispirato molto l’Atelier 5. Con l’aggiunta ispiratrice, pare, del modulo medievale della città vecchia di Berna.

Passo accanto alla piscina vuota e mi rendo conto che la presenza del bosco, senza recinti né siepi negli ultimi giardini, è il punto chiave di Halen, osservato anche in un libro sull’influsso positivo di Halen sui bambini. Due giovani fanno colazione in giardino e mi salutano con naturalezza. Qui sono abituati e per niente infastiditi dagli studenti di architettura di tutto il mondo o semplici appassionati di passeggiate architetturali che curiosano, ogni tanto, gironzolando tutto intorno. Incontro un gatto grigio che s’intona al tetto in beton scurito. Trovo magnifiche le macchie d’umidità sul beton. Ed è ora di sfatare il contrasto tra beton e natura. Jacques Blumer, arrivato negli anni settanta nel gruppo del-l’Atelier 5, in una conferenza, spiega come il beton sia un materiale naturale composto da sabbia, ghiaia, cemento, acqua; in fin dei conti una pietra. Un gatto nero, su un muro agghindato da un glicine tortuoso, completa il trittico felino di Halen. Dove la critica al sogno americano della casa unifamiliare è vissuta con leggerezza etica.