L’ingiustizia del mondo

/ 16.11.2020
di Ermanno Cavazzoni

Kafka, forse il più grande scrittore del Novecento, è morto di tubercolosi nell’agosto del 1924 senza che nessuno dei suoi meravigliosi romanzi fosse stato pubblicato. E anche dei suoi tanti racconti solo pochissimi erano stati stampati. Se non ci fosse stato l’amico Max Brod i manoscritti non si sarebbero di sicuro salvati, e noi saremmo senza questo tesoro inesauribile che il suo genio ha voluto donarci. Ma il fatto è che Kafka è morto e nessuno gli ha detto grazie, anzi nessuno gli ha fatto onore, o gli ha mandato una delegazione internazionale in rappresentanza dell’umanità beneficata. Ma neanche un premio, oggi che se ne danno tanti, da portargli però quando ancora era in vita.

È morto sereno, a quanto sembra; ha salutato il medico e se n’è andato senza recriminazioni. Aveva corretto le bozze di un libricino di quattro racconti, Un artista del digiuno (Ein Hungerkünstler), ma non ha fatto in tempo a vederlo stampato; neppure questa piccola estrema soddisfazione. Certo i suoi romanzi erano rimasti incompiuti, America e Il processo entrambi con una larga lacuna, e Il castello senza finale. Qualunque editore gli avrebbe detto: prima finiscili! Anche se l’incompiutezza fa parte oggi del loro fascino; e anche se la soddisfazione per i veri scrittori sta nello scrivere, nell’essere tutti presi dal libro che cresce e diventa un’epoca bella della loro vita, che giustifica l’essere venuti al mondo.

Però neanche un grazie? Visto che i ringraziamenti a posteriori lui non li può sentire, i convegni, le tante edizioni, le celebrazioni, le tesi di laurea e gli studi su, nonché le magliette con la sua foto vendute a Praga nelle bancarelle assieme ai souvenir, del che certamente si vergognerebbe, questo meglio non l’abbia visto, non aveva la faccia tosta che hanno i leader politici. Questa è l’ingiustizia del mondo.

Poi guardo i libri che ho in una casa di campagna, libri degli anni 20, degli anni 30, comprati dalle mie prozie, da mio nonno e mio bisnonno, erano i libri del tempo di Kafka, i libri che andavano allora, ristampati, premiati, pubblicizzati, che si regalavano perché erano di moda, i relativi autori in quegli anni erano celebri, lodati, saranno stati contenti della notorietà, si pavoneggiavano, se andavano in albergo a Cortina venivano riconosciuti, qualcuno si sarà anche gonfiato di vanità. Ebbene, chi se li ricorda più questi nomi? Nino Salvaneschi, Maurizio Dekobra, Pietro Casu (che nel 1927 era alla quarta edizione della sua Notte sarda), Giuseppe Fanciulli, Michele Saponaro (quarta edizione di Nostra madre, Mondadori 1921), Girolamo Rovetta, Salvator Gotta (tra i più prolifici e rinomati), Jo’ Di Benigno, Bruno Corra, Federico Nardelli (il cui Nicewò, 1923, era nella collana Bemporad con Pirandello); cito alla rinfusa perché nello scaffale sono alla rinfusa.

Ho provato a leggerli; dopo due pagine piantavo lì, solo parole gonfiate, in quello stile che ha avuto successo per un anno, due anni, e adesso non si sopporta più, anzi fa ridere, come i baffoni a manubrio, i favoriti e tutte le mode fugaci che durano poco; e diventano ridicolaggini.

L’ingiustizia non è che questi signori siano emersi e abbiano per un po’ galleggiato, è normale in tantissimi campi, che la gloria sia una bolla che sale e poi scoppia, era solo aria. L’ingiustizia è per Kafka, e ormai non si può più rimediare, anche se i libri sono i pezzi della sua anima che continuano a vivere. Ma anche questa è una frase consolatoria, lui essere vivente e senziente che ha distillato dalla sua anima quei capolavori, che ci ha beneficato, lui non l’ha mai saputo di averli fatti i capolavori, cioè un po’ lo sospettava, ma cosa gli abbiamo dato in cambio?

Neanche un’auto con l’autista, una bella casa e una bella moglie; anche se sulla moglie sarebbe stato restio; e anche la casa, chissà, a sentir lui dalle lettere a Felice, avrebbe preferito abitare in cantina per essere isolato e nel silenzio. L’auto? Mah, non sembra che per le auto fosse molto appassionato. Almeno però una residenza per scrittori, con una borsa di studio, dove? a Praga? a Berlino? Per la verità da Praga a un certo punto è scappato, e a Berlino c’è andato. Cosa gli si poteva dare? Soldi? Non era così tanto interessato. Il premio Nobel? Quasi sempre il Nobel in letteratura va alla persona sbagliata, la Svezia vuole accontentare a turno un po’ tutti; Kafka col Nobel si sarebbe sentito sotto processo.

Dunque? Dunque Kafka alla fine forse ha avuto la vita che è stata la vita di Kafka, niente di più, niente di meno. Se uno è destinato a gonfiarsi come un pallone, che lo si lasci gonfio; Kafka a questo non era portato. È un’ingiustizia? No, devo ricredermi. Ognuno fa esattamente la vita che gli è toccata, e nel caso di Kafka è strettamente legata alle sue opere. Dunque sì, lo vorrei ringraziare, ma (come nel racconto del digiunatore) non poteva far altro che quello che ha fatto.

E se per caso mi sente, glielo dico qui: grazie!